Un tempo primordiale, tra erbivori giganti e ominidi cacciatori

La vicenda geologica di Roma inizia circa 3,6 milioni di anni fa, nel Pliocene finale.

In questa epoca la penisola italiana sta cominciando a definire il suo profilo, con le Alpi e gli Appennini che si sollevano. Il Lazio antico, tuttavia, è ancora in gran parte sommerso dalle acque: appare ancora come un piccolo arcipelago di terre emerse: il Monte Soratte, i monti Lucretili, i monti Cornicolani si ergono come isolotti, circondati da un mare caldo e poco profondo. Proprio dove oggi si estende Roma, c’è una laguna costiera.

Foreste di conifere e gigantesche sequoie rivestono le terre asciutte. Il clima è più caldo e umido rispetto a quello attuale. Tapiri estinti, elefanti dalle zanne dritte come Elephas primigenius e il possente Anancus, un altro proboscidato, popolano queste zone subtropicali. Tra le canne si aggirano coccodrilli, mentre uccelli marini volano sulle acque tranquille. Là dove un giorno sorgeranno il Palatino e il Foro Romano, dominano acquitrini e sequoie imponenti, i cui resti fossili si conservano nei sedimenti lignitiferi, raccontando un mondo perduto.

Circa tre milioni di anni fa, il mare cmincia progressivamente a ritirarsi, facendo emergere nuove pianure alluvionali. Alla fine del Pliocene, attorno a 2,5 milioni di anni fa, la linea del litorale è già non molto diversa da quella attuale, lasciando vaste distese pianeggianti attraversate da fiumi e punteggiate da piccoli laghi. Sabbie, ghiaie e sedimenti fluviali si accumulano, formando depositi tuttora visibili nei rilievi di Monte Mario e Monte Ciocci.

Con il Pleistocene il clima cambia: inizia la lunga stagione delle glaciazioni. Il freddo si fa estremo, con temperature medie annuali tra –5 e –8°. Nel mare di Fiumicino può capitare di imbattersi in iceberg, mentre nei monti appenninici si spostano in branchi i Mammuthus meridionalis dalla folta pelliccia lanosa.

Progressivamente, i movimenti tettonici sollevano il margine tirrenico del Lazio, facendo avanzare la linea di costa e trasformando i fondali marini in pianure e colline emerse. Questi sbalzi modellano gradini e terrazze costiere sui rilievi sabini e prenestini.

Intorno a 1,81 milioni di anni fa, le acque di fusione dei ghiacciai danno vita a un poderoso fiume preistorico, il Paleo-Tevere, che trasporta verso il Tirreno enormi quantità di acqua e sedimenti. Questo grande corso d’acqua, dal letto maestoso, sfocia in un ampio delta presso l’attuale Ponte Galeria, disegnando un paesaggio paludoso, ricco di meandri.

Quest’area ha restituito ossa fossili di ippopotami, cervi giganti, rinoceronti, Palæoloxodon antiquus ed Elephas primigenius.

Vulcani in eruzione e primavere interglaciali: il fossile Prædicrostonyx

Intorno a 781.000 anni fa, avviene l’inversione dei poli magnetici terrestri, un evento che lascia ancora perplessi molti studiosi. Da questo momento il clima alterna lunghi periodi glaciali a fasi interglaciali, più brevi, ma caratterizzati da irruenti “primavere all’improvviso” in cui la biodiversità esplode.

Nei primi anni Ottanta del Novecento, il ricercatore greco Tassos Kotsakis ha condotto degli studi, per indagare uno di questi momenti più caldi. Kotsakis si reca nella zona di Fontignani, presso l’attuale incrocio tra via di Ponte Galeria e via della Pisana. Qui riconosce nei fanghi fossili le tracce di antiche lagune popolate da roditori, che riesce a identificare. I loro nomi scientifici sono Prædicrostonyx e Prolagurus pannonicus, lontani antenati dei lemming artici di oggi. Sono loro, probabilmente, i più antichi “abitanti noti” del Territorio Portuense.

Circa 600.000 anni fa, la subsidenza del margine tirrenico favorisce la risalita di magmi incandescenti, e iniziano le eruzioni dei Monti Sabatini.

Questi vulcani stendono imponenti strati di tufo sull’area romana, modificandone radicalmente la geografia. Quando i crateri vulcanici collassano, si formano delle ampie “caldere”, come quelle degli attuali laghi di Bracciano e Martignano. Verso i 500.000 anni fa si sveglia anche un secondo complesso vulcanico, il cosiddetto Vulcano Laziale o dei Castelli Romani, che forma le caldere dei laghi Albano e Nemi.

Il paesaggio di Roma inizia così a delinearsi: colline tufacee, la valle del Paleo-Tevere, sorgenti copiose e suoli vulcanici fertili, resi fertili dalla cenere e dai materiali eruttivi, offriranno nutrimento a una vegetazione rigogliosa, preparando inconsapevolmente la strada per l’insediamento di specie animali sempre più evolute e, infine, delle comunità umane stesse.

In questo scenario geologico e climatico in continuo mutamento, la pianura romana diventa così una piattaforma dinamica, dove si alternano fasi di acque stagnanti, episodi di attività vulcanica, avanzamenti e ritiri delle linee di costa. Il territorio acquista così la complessità di un mosaico, in cui si mescolano fondali marini sollevati, dune fossili, laghi effimeri e corsi d’acqua fluviali.

Questo ambiente, segnato da eruzioni spettacolari, ghiacci e brevi interludi caldi, costituisce il fondamento di ciò che un giorno sarà la culla della nostra città e del nostro territorio.

Homo erectus alla conquista della Valle Tiberina

Nella pianura deltizia del Paleo-Tevere, tra 712.000 e 500.000 anni fa, hanno cominciato a muoversi mandrie di grandi erbivori: ippopotami, Palæoloxodon antiquus, bisonti, cervi come Cervus elaphus acoronatus, megacervi come il Megaloceros savini, cavalli Equus altidens e rinoceronti del tipo Stephanorhinus hundsheimensis. Questi animali sostano spesso a nord della foce di Ponte Galeria, approfittando delle acque tranquille e della vegetazione rigogliosa.

Dove si concentrano così tante prede, si fanno presto vedere anche i predatori, come orsi delle caverne e lupi. Tra le specie di predatori, tuttavia, comincia a palesarsi anche una specie nuova, di piccola taglia rispetto ai grandi carnivori, ma dotata di un’intelligenza pericolosa: Homo erectus.

Questo ominide si muove lungo la riva destra del Paleo-Tevere. Lascia le sue tracce a Malagrotta, a Ponte Galeria, lungo l’odierna via Aurelia e a Castel di Guido: utensili di selce come amigdale bifacciali, raschiatoi, punte da caccia e strumenti ossei ricavati dalle ossa lunghe degli elefanti, per scarnificare e rompere le ossa, in cerca del prezioso midollo.

Le aree di concentrazione di ossa rotte, utensili scheggiati e resti animali testimoniano vere e proprie “macellerie preistoriche”, dove gli Erectus smontano sistematicamente le carcasse delle prede. Castel di Guido, indagato tra il 1976 e il 1991 da Renato Mariani ed Ernesto Longo, restituisce oltre 5700 resti animali e circa 1200 utensili litici, insieme a 372 strumenti ossei lavorati, ricavati soprattutto dalle ossa degli elefanti.

Anche la Collina Barbattini, sulla via Aurelia, conserva tracce di fratture intenzionali sulle ossa e utensili riutilizzati più volte. Qui si delinea una strategia di caccia organizzata, con gruppi nomadi che tornano stagionalmente sul posto per macellare le loro prede e ripartire subito dopo.

Homo erectus mostra capacità tecniche e sociali sorprendenti, gestendo risorse alimentari, pianificando spostamenti, utilizzando materiali diversi.

Uomini antichi e misteri evolutivi: l’origine umana resta un mistero

Homo erectus dominerà la pianura deltizia del Paleo-Tevere per lunghissimi millenni. Da Malagrotta a Ponte Galeria, dall’Aurelia a Castel di Guido, questi gruppi lasciano tracce continue della loro presenza: amigdale, raschiatoi, punte di selce e strumenti ossei che attestano un sapere tecnologico avanzato. Le c.d. “industrie acheuleane” si diffondono con sorprendente continuità, segno di una capacità organizzativa che supera la semplice sopravvivenza.

Gli scavi documentano anche una gestione comunitaria delle risorse: vere e proprie aree di smontaggio delle carcasse animali, che rivelano un’intelligenza sociale. L’Erectus non può ancora definirsi uomo moderno, ma sa già articolare suoni, e forse comunicare intenzioni agli altri membri del gruppo. È capace di controllare il fuoco, sebbene non ancora di accenderlo, e conosce la ripetitività delle stagioni e delle risorse. È nomade, ma frequenta gli stessi luoghi per generazioni, segno di una memoria collettiva che inizia a consolidarsi.

Il dibattito moderno resta più che mai aperto: Homo erectus è un bruto scimmiesco o un uomo moderno già vicino a noi? Charles Darwin considera gli ominidi un gradino intermedio nel cammino evolutivo lineare verso Homo sapiens, mentre altri studiosi ipotizzano un intervento trascendente, un’intelligenza divina che avrebbe indirizzato l’evoluzione e la creazione stessa dell’uomo.

Nel 2022 Svante Pääbo, Nobel per gli studi sul genoma, propone una visione più complessa: l’evoluzione umana non sarebbe affatto lineare, ma un “cespuglio” di rami intrecciati, in cui l’Erectus rappresenta uno dei tanti sentieri possibili, senza escludere del tutto una dimensione trascendente nella storia umana.

Comunque la si interpreti, rimane il fatto che proprio questi antichi bipedi Erectus, fra Ponte Galeria e Castel di Guido, gettano le prime basi di una continuità di frequentazione umana che, attraverso innumerevoli trasformazioni, porterà un giorno alla nascita di Roma.


(articolo aggiornato il 28 Giugno 2025)