Giorgio Caproni – maestro elementare e poeta – nasce il 7 gennaio 1912 a Livorno e trascorre l’infanzia a Genova. La famiglia, di origini modeste, lo incoraggia agli studi musicali e alla lettura. Sin da giovane conosce i nuovi poeti dell’epoca: Ungaretti, Sbarbaro e soprattutto Montale, rimanendo colpito dagli “Ossi di seppia”.
Caproni comincia a scrivere i suoi primi versi, che pubblica su riviste letterarie a partire dal 1933. Conseguita l’abilitazione magistrale, dal 1935 insegna in un paesino della Val Trebbia, nell’Appennino ligure.
Nel frattempo pubblica il volumetto “Come un’allegoria” e, nel 1938, “Ballo a Fontanigorda”, ispirato dall’incontro con la sua futura sposa, Rosa Rettagliata, cui si rivolge con il nome letterario di Rina.
Nel 1938 si trasferisce a Roma, dove prende servizio come insegnante ordinario, alla scuola comunale Pascoli di via dei Papareschi. Complessivamente, Caproni insegnerà alla Pascoli per 13 anni, dal 1938 al 1951, per poi passare alla scuola Crispi di Monteverde.
Ma il primo soggiorno romano di Caproni durerà appena quattro mesi: lo scoppio della guerra e la chiamata alle armi lo portano a combattere, sul Fronte occidentale, e poi a entrare nella Resistenza, nella brigata partigiana della Val Trebbia.
Dopo la guerra Caproni torna a Roma. Prende casa a Monteverde, in via Pio Foà. Tornato a insegnare alla Pascoli, deve subito affrontare un problema immediato: i ragazzini, non vanno a scuola. Decide di andarli a cercare. Su un registro del 1946 annota con grafia nervosa: “Accordatomi con il Signor Direttore, ho fatto un giro nelle case dei recidivi e ora le frequenze sono tornate alla normalità”.
L’abitudine di scrivere cronache scolastiche accompagnerà Caproni per tutta la carriera. Perplessità e soddisfazioni, ostacoli burocratici, ritardi. Tutto con un’umanità profondissima e lucida.
Negli Anni Cinquanta Caproni lavora a ritmi frenetici. Collabora con La Nazione, L’Avanti, Mondo operaio, Il Punto, La Fiera letteraria. E traduce dal francese il “Tempo ritrovato” di Proust, cui seguono altri classici: “Fiori del male” di Baudelaire, “Morte a credito” di Céline, “Bel ami” di Maupassant.
Conosce scrittori e intellettuali – tra cui Pratolini, Cassola e Fortini – ma si tiene alla larga dai salotti letterari. Caproni rifiuta opportunità di comodo disimpegno, convinto della dignità del ruolo di maestro. Su un registro del 1952, annota soddisfatto: “È che a furia di far parlare questi marmocchi, facendo finta di non insegnare, sono in parte riuscito a far loro coordinare le idee”.
È di questi anni l’amicizia con un giovane poeta e collega: Pier Paolo Pasolini. Pasolini ha da poco pubblicato il romanzo “Ragazzi di vita” (1955). Alcuni passaggi sono ambientati a due passi dalla Pascoli, alla fabbrica Purfina, che nella finzione narrativa diventa “la Ferrobedò”. Scrive Pasolini: “Dietro il Ponte Bianco non ci sono case, ma tutta una immensa area da costruzione, in fondo alla quale, attorno al solco del viale dei Quattro Venti, profondo come un torrente, si stende calcinante Monteverde”.
Pasolini dedica a Caproni questi versi: “Anima armoniosa, perché muta e perché scura, tersa: se c’è qualcuno come te, la vita non è persa”.
Il 1959 è l’anno del “Passaggio di Enea”, una raccolta delle opere precedenti. Con perizia metrica e chiarezza di sentimenti, mescolando lingua popolare e lingua colta, Caproni racconta l’attaccamento sofferto al quotidiano e all’epica casalinga.
Intanto, continua ad insegnare. I vecchi scolari, ricordano i concertini di violino, il trenino Rivarossi al centro di un’aula sgombrata dai banchi, gli schizzi sulla lavagna per invogliare al disegno; ma anche le bocciature sdegnose ai disegni stereotipati o di maniera.
Caproni sa di essere amato e rispettato. E ricambia con garbo e sorridente comprensione. Nel 1961 scrive: “Son tutti di 8 anni. Mi salgono sulle spalle, sulle ginocchia. Finiranno col saltarmi anche in testa, come i piccioni di Piazza grande. Sono morto di fatica, ma mi trovo bene tra i piccioni!”.
Nel 1965 pubblica “Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee”. Caproni passa adesso a una metrica spezzata, esclamativa, con una sintassi ansiosa, che riflette la scoperta dell’assurdità dell’esistenza: “Vi lascio davvero amici, addio. Scendo. Buon proseguimento.”
Nel frattempo cerca la via per far crescere umanamente e intellettualmente i suoi scolari, senza ricette predefinite, definendosi un “maestro senza metodo”. Incoraggia la spontaneità, educa alla curiosità e allo stupore, inventa le “lezioni fuori programma”, fa fare le ricerche nella Bibliotechina scolastica. Con Pasolini organizza una celebre gita, proprio alla fabbrica Ferrobedò. Soprattutto, Caproni apre un varco alla poesia, in una didattica ancora basata sull’apprendimento mnemonico.
La burocrazia scolastica, da sempre sospettosa dell’anticonformismo, lo guarda con diffidenza. Caproni ricorda: “Ero la disperazione dei direttori didattici!”.
Dopo il pensionamento, si apre una terza fase della sua produzione letteraria. E arriva il grande successo di pubblico. Una dopo l’altra Caproni pubblica tre raccolte: “Il muro della terra” (1975), “Franco cacciatore” (1982) e “Il Conte di Kevenhüller” (1986).
Il verso si fa ancora più rarefatto, quasi scheletrico nella sua chiarezza e linearità. Il poeta non ha bisogno di molti giri di parole: “Buttate pure via ogni opera in versi o in prosa. Nessuno è mai riuscito a dire cos’è, nella sua essenza, una rosa”.
Alternando ironia e dolente spaesamento, Caproni descrive il mondo che lo circonda, paragonandolo a un deserto, in cui il poeta però cammina con passo sicuro, accompagnato da una religiosità senza fede. Caproni scrive: “Ah, mio Dio! Perché non esisti?”. E ancora: “Gli ho scritto tante volte. Non mi ha mai risposto”.
Muore il 22 gennaio 1990, lasciando “Res amissa” alla pubblicazione postuma.
Il Fondo Caproni – composto di manoscritti, appunti e i cinquemila volumi della biblioteca personale del poeta – è conservato dal 2012 nella Biblioteca Marconi. I libri appartenuti a Caproni sono spesso annotati a margine, con inconfondibile grafia.
Una poesia di Caproni è uscita alla prova di maturità del 2017. Si tratta di Versicoli quasi ecologici, tratta da Res amissa: “Non uccidete il mare, la libellula, il vento. Non soffocate il lamento (il canto!) del lamantino. Il galagone, il pino: anche di questo è fatto l’uomo”.
Nel maggio 2022 si è svolto un ciclo di incontri dedicati a Caproni, con i figli Silvana e Attilio Mauro. Per l’occasione sono state scoperte due targhe memoriali: la prima alla scuola Pascoli e la seconda alla scuola Giorgio Caproni, in via Solidati Tiburzi al Portuense.
(articolo aggiornato il 3 Novembre 2022)