La mattina del 16 marzo 1978 il Parlamento italiano si prepara a votare la fiducia al quarto governo dell’onorevole Giulio Andreotti. Il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro ha a lungo preparato questo momento: la Dc e il Partito comunista di Enrico Berlinguer sosterranno insieme il “compromesso storico” tra i due partiti per sostenere il nuovo esecutivo.

Aldo Moro, che abita in via del Forte Trionfale, nel nord della città, esce di casa in auto alle 9 del mattino, scortato da un’Alfetta. Il piccolo convoglio transita su via Mario Fani. Alle 9,15 va in scena l’agguato, pianificato con ferocia. I cinque uomini della scorta muoiono sul colpo.

Da qui in poi la vicenda esce dall’ambito delle certezze ed entra nella “verità processuale”, una ricostruzione operata dai magistrati attraverso sei processi. Moro viene prelevato e condotto nel garage del grande magazzino Standa ai Colli Portuensi e di qui arriva a via Montalcini, dove trascorre la prima notte di prigionia.

Nella stanza accanto, con la Braghetti e Maccari, ci sono altri due carcerieri: Prospero Gallinari e il capo delle Br Mario Moretti. Iniziano i 55 giorni più lunghi d’Italia.

Mario Moretti entra nella cella-prigione di Aldo Moro. Gli comunica che sarà sottoposto a un processo popolare, al termine del quale il Tribunale del popolo emetterà una sentenza e comminerà una pena. Moro ascolta, lo sguardo dolente, mentre gli scattano un’istantanea polaroid.

La foto viene fatta ritrovare a un cronista, insieme con un messaggio dattiloscritto delle Br: il comunicato numero 1. È un testo lunghissimo, che accusa Moro di essere l’emissario italiano di un potere occulto sovrannazionale.

Nella cella Moro è lasciato solo, a rispondere per iscritto a dettagliati capi d’imputazione. Moro è preciso, puntiglioso. Le sue risposte saranno in seguito ritrovate e pubblicate con il titolo di Memoriale Moro. Moro ottiene di poter scrivere qualche riga ai suoi cari: “Sono in discreta salute. Il cibo è abbondante e sano, non mancano mucchietti di appropriate medicine. Non ho previsioni né progetti ma fido in Dio”. Nei giorni successivi Moro scriverà altre lettere: saranno in tutto 86.

Moro parla e rende “completa collaborazione”, dicono i comunicati numero 2 e 3. Allegata al terzo comunicato c’è una lettera per il ministro dell’Interno Francesco Cossiga, che scatena un imbarazzato putiferio. Moro chiama in correità lui e gli altri dirigenti di partito per quanto gli sta succedendo e chiede loro di liberarlo, aprendo una trattativa con le Br. Se non lo faranno, Moro rivelerà cose sgradevoli.

Lo scrittore Leonardo Sciascia esamina a lungo quella lettera. Poi si presenta alla polizia e dice che è un messaggio steganografico: dentro il messaggio in chiaro ve ne è contenuto un altro, criptato. Moro scrive:

“Io mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato”. Ma intende dire: “Sono al piano terra di un condominio, affollato e non ancora perquisito”. Sciascia non sarà creduto.

I leader politici intanto fanno quadrato e dicono, con fermezza, che con le Br non si tratta.

Il comunicato numero 4 allega un’altra lettera di Moro, per il segretario dc Benigno Zaccagnini. I toni della lettera non sono lucidi. Moro è rabbioso verso gli “amici delle ore liete”; appare spiritato, irriconoscibile. Il Corriere della Sera la definisce una “lettera dall’inferno”. Forse Moro scrive sotto minaccia o psicofarmaci; forse ha la sindrome di Stoccolma, uno stato di alterazione che porta il rapito a solidarizzare con i suoi rapitori.

Noretta Moro, moglie dello statista, prova ad aprire un canale di dialogo con le Br, scrivendo una lettera aperta sul quotidiano Il Giorno. Il comunicato numero 5 però la raggela: le Br tratteranno solo con lo Stato, non con i familiari.

Tra le righe del quinto comunicato si legge che l’imputato risponde “a tutte le domande”: Moro sta rivelando affari scottanti. I palazzi della politica, a quel punto, incominciano a tremare. Moro ha rivelato l’esistenza dell’organizzazione paramilitare clandestina “Gladio” e che la Dc riceve finanziamenti illeciti.

Fatalmente però, ora che Moro ha detto tutto o quasi, i suoi discorsi perdono d’interesse per i rapitori e il processo popolare accelera verso il verdetto. Il comunicato numero 6 annuncia: “Aldo Moro è condannato a morte”.


(articolo aggiornato il 22 Ottobre 2022)