È una Roma disordinata, quella del 1975. La città è in piena espansione: tutto si muove, non si sa bene in quale direzione. Roma non è mai stata così anarchica, senza padroni.

A inizio anno Don Pietro Cecchelani si presenta in Vicariato. Con deferente fermezza fa presente che la chiesa provvisoria di via Pescaglia non basta più e la costruzione di una vera chiesa alla Magliana non è più rimandabile. Ne ottiene un finanziamento: la nuova chiesa di San Gregorio Magno – in setti di cemento armato a vista in stile brutalista, su progetto di Aldo Aloysi – sarà ultimata in meno di tre anni, nel 1977.

Nel febbraio 1975 viene assaltato il “Colosseo”. Il Colosseo è uno stabile della società Malta su via Pescaglia, senza porte né finestre. I costruttori lo hanno scarnificato, portandosi via tutto, persino i sanitari. Parte dello stabile è già occupato dagli affittuari autoriduttori; il resto viene preso d’assalto, tutto in una notte.

L’indomani, con un volantino rovente, la sezione del Pci condanna gli occupanti, che chiama “avventurieri” e accusa di condurre una guerra tra poveri. Il comitato di quartiere replica con un altro volantino ancora più infuocato, che accusa la Sinistra istituzionale di stare a guardare, mentre i lavoratori rimangono senza casa.

Sono anni di parole violente, assemblee permanenti e pamphlet ciclostilati. Alla Magliana arrivano gli emissari di Mario Moretti, leader delle Brigate rosse, in cerca di proseliti per la lotta armata. Il comitato di quartiere se ne accorge e li caccia via: “Noialtri siamo tutti comunisti”, ricorda il Canzoniere: questi invece sono altro, sono feroci eversori.

Arriva anche il Comitato per l’aborto libero. Alla Magliana c’è già il Circolo femminista, che nel consultorio autogestito di viale Vicopisano conduce battaglie avanzatissime: distribuisce contraccettivi e educa alla consapevolezza e alla salute sessuale. Gli abortisti si collocano pericolosamente oltre, al limite tra una legislazione retriva e la disperazione, sostenendo gli aborti clandestini.

Un’altra organizzazione, il Soccorso rosso, porta nel 1976 una delegazione della Magliana al Tribunale civile di Roma. Agli increduli cancellieri i residenti dicono di voler processare i costruttori del quartiere e ottenerne un risarcimento di venti miliardi di lire, ben 90 milioni di euro di oggi. La delegazione dice che intende avvalersi di uno strumento giuridico desueto – l’azione popolare – che consente a privati cittadini di avviare un processo a nome del Comune di Roma. I cancellieri controllano: la richiesta è folle ma tecnicamente ineccepibile.

Il processo ai costruttori incomincia. Un pamphlet Feltrinelli ad alta tiratura (Vita e lotte di un quartiere proletario, 1977) porterà la vicenda alla ribalta nazionale.

I giovani gangster della Magliana intanto fanno carriera. Maurizio Abbatino detto Crispino si è fatto un nome nella mala romana, per il sangue freddo e la rapidità d’azione. Attorno a lui gravitano già quattro persone: Enzetto der Trullo, all’anagrafe Enzo Mastropietro, 19enne; il ventenne Renzo Danesi er Caballo, anche lui del Trullo; Giovanni Piconi (25) ed Emilio Castelletti (25), entrambi di Pian Due Torri. I cinque si riuniscono al bar di via Gabriello Chiabrera, vicino al cinema Madison, nel quartiere Marconi. Cementano tra loro rapporti profondi.

Nell’estate 1976 avviene l’incontro che cambia le loro vite. Ci troviamo in un altro bar, a Testaccio, davanti al cinema Vittoria. Il ventinovenne Franco Giuseppucci detto er Fornaretto sorseggia un caffè. Fornaretto è originario di Trastevere ed è già stato capobatteria al Trullo. Gli piace scommettere forte, tra le bische di Ostia e l’ippodromo di Tor di Valle. Ha passato anche dei guai, per detenzione di armi; adesso è un uomo libero e fa esattamente quello che faceva prima: regge i ferri, cioè custodisce le armi per altri malavitosi. Ha due clienti fissi: la batteria dell’Alberone e una nuova batteria, da poco formatasi a Testaccio. Il capobatteria dei Testaccini è un giovane che abbiamo già incontrato: il suo nome è Enrico De Pedis detto Renatino. Quel giorno, dentro il maggiolone cabrio Volkswagen di Giuseppucci parcheggiato davanti al bar, ci sono proprio le armi di Renatino.

Succede l’imprevisto. Là davanti passa un cane sciolto del Trullo, conosciuto come Paperino. Coglie l’attimo e ruba il maggiolone, pensando appartenga a uno sprovveduto. Quando se ne accorge, er Fornaretto è furioso. Ci mette un attimo a risalire a Paperino, che nel frattempo ha rivenduto le armi a Castelletti, che le ha portate a Abbatino in via Chiabrera. Con la rapidità del fulmine Giuseppucci si presenta lì. Rivuole indietro le armi.

Abbatino è uno che sa prendere le misure: con Giuseppucci non si scherza e neppure con De Pedis. Gli riconsegna il maltolto e i due si salutano con una stretta di mano.

Nei giorni successivi Abbatino e Giuseppucci iniziano a frequentarsi, c’è anche De Pedis. Si trovano. Sanno di essere figure criminali di modesto spessore, eppure le cose possono cambiare, se si uniscono tra loro. Delineano intenti comuni: superare le rivalità tra le batterie, raccogliere i cani sciolti, allargare il giro.

I gruppi di Magliana e Testaccio si fondono e scelgono Giuseppucci er Fornaretto come capo. Crispino porta con sé gli amici di sempre: Enzetto, er Caballo, Piconi e Castelletti. Renatino porta il giovane Raffaele Pernasetti detto er Palletta che lo segue come un’ombra, ed Ettore Maragnoli, un criminale esperto che si muove tra azzardo, usura ed eversione nera. Giuseppucci porta Giorgio Paradisi er Capece e Marcello Colafigli detto Marcellone. Quest’ultimo, rapinatore di 23 anni, deve il soprannome alla stazza e alla forza erculea; l’altro viene dal giro delle rapine e delle scommesse ippiche.

La nuova organizzazione si dà due regole: esclusività – nessun sodale lavorerà mai con altri – e solidarietà – si aiuteranno come fratelli, se la cattiva sorte dovesse richiederlo –. La “banda” prende forma. Adesso è pronta per allargare i suoi tentacoli. E la città distratta è pronta per lasciarsi stritolare.


(articolo aggiornato il 12 Giugno 2022)