Il primo secolo dell’Impero trascorre davvero rapido. A volte assume persino i caratteri di una rincorsa: tra l’Urbe che cresce famelica e le sue linee di approvvigionamento, sempre fatalmente inadeguate.

Il grano che arriva in città, ad esempio, non basta mai. Nel porto fluviale di Ostia gli spazi di manovra sono limitati e le grandi navi onerarie fanno oziose la fila in mare aperto, prima del trasbordo delle derrate sulle chiatte caudicariæ. La risalita del Tevere è un continuo litigioso ingorgo.

L’imperatore Caligola tiene scorte frumentarie sempre pronte all’uso: le immette sul mercato un attimo prima che la penuria sfoci in rivolta. Attua la politica del panem et circenses: pane e circhi gladiatori per tutti, per tenere impegnati lo stomaco e gli animi. Uno stadio equestre, riportano le fonti epigrafiche, sorge persino alla Magliana, probabilmente presso l’attuale vicolo dell’Imbarco. Dai Papiliones, le logge d’onore, gli Arvali si godono spettacoli di sangue e arena.

Quella di Caligola è una soluzione di corto respiro; il successore Claudio ne cerca invece una definitiva. Nel 46 d.C. Claudio fa costruire il secondo porto di Roma: Portus, un bacino artificiale situato tre chilometri a nord di Ostia, con due grandi moli protesi in mare aperto, un isolotto e un faro.

Del faro possediamo un accurato disegno a mosaico bianco e nero, contenuto nella tomba numero 43 della necropoli di Isola Sacra. Ha una struttura a quattro blocchi sovrapposti, di dimensioni decrescenti. Accanto c’è una scritta in greco: “Ode Pausilypos”, qui cessa ogni affanno. Come a dire: sei arrivato in un porto sicuro.


(articolo aggiornato il 11 Maggio 2023)