Di fronte a canoni decurtati e occupazioni, le immobiliari non stanno a guardare.

Mandano agli inquilini ingiunzioni di pagamento e ottengono dal tribunale l’emissione di precetti. Il Canzoniere racconta: “Guarda un po’, dice il padrone, questa gentaglia cos’ha combinato! Gli ufficiali e gli avvocati convocherò! Lettere allora arrivano e poi gli sfratti…”.

Una delle immobiliari, la Malta, ottiene le prime ordinanze di sfratto, a inizio del 1972. Gli ufficiali giudiziari si presentano alla Magliana per eseguirli e, come da consuetudine, accordano il primo rinvio.

Non c’è un minuto da perdere. Il 14 febbraio il comitato di quartiere organizza una grande manifestazione, con i pullman presi a noleggio. Tutta la Magliana si sposta sotto l’ufficio del pretore, scandendo questo slogan: Al-la Ma-glia-na non si sfrat-ta! È una manifestazione minacciosa, livida.

E quando l’ufficiale giudiziario ritorna al fabbricato Malta trova ad attenderlo un picchetto anti-sfratto: trova una folla immobile, silenziosa, con le braccia conserte. I picchetti non sono una novità: si sono già visti nelle fabbriche, per impedire l’ingresso dei crumiri durante gli scioperi. Ma questa è la prima volta in un quartiere, per impedire uno sfratto. È un assembramento solo apparentemente pacifico: in realtà è straordinariamente aggressivo. Gli inquilini si frappongono fisicamente tra l’ufficiale e le famiglie sotto sfratto, sbarrandogli il passo. L’ufficiale, sentendosi in pericolo, scappa via.

Al comitato di quartiere viene montato un tabellone di legno, con affisse le date dei picchettaggi in tutto il quartiere: meticolosamente disposti in caselle ci sono centinaia di cognomi di capifamiglia sotto sfratto, con rispettivi indirizzi e orari di esecuzione. Il quartiere vi partecipa in massa: all’ora convenuta i residenti scendono in strada e si fanno trovare davanti l’ingresso degli stabili, formando una barriera silenziosa. Ogni volta l’ufficiale giudiziario annota la presenza di facinorosi e fa retrofront.

La Magliana diventa una città dentro la città. E la sua storia richiama i primi curiosi, intellettuali e artisti. Uno dei primi ad arrivare, ospite del Canzoniere, è il drammaturgo Dario Fo (1926-2016, premio Nobel nel 1997) con la sua compagnia teatrale La Comune. Allestisce spettacoli in strada, su viale Vicopisano.

Nel maggio 1972 l’ufficiale giudiziario ritorna, per eseguire uno sfratto alla Porta Medaglia. Questa volta però ha la scorta: lo precedono gli agenti di polizia del Reparto Celere. È allora che tutto il quartiere – preavvisato del loro arrivo da radioamatori sulla Citizens’ band a 27 Mhz – si riversa in strada. Su via della Magliana si forma un blocco stradale, chiassoso e disordinato. La Celere si ferma. Sembra ripiegare, vanno via.

Ma hanno semplicemente fatto il giro. Gli agenti, non si sa come, ricompaiono sotto lo stabile Porta Medaglia. Davanti al portone si crea un assembramento, un picchetto estemporaneo che sbarra il passo alla Celere. Nel frattempo, sulle scale condominiali succede di tutto: vengono srotolate bobine di filo spinato, mentre alcuni compagni fabbri sigillano gli appartamenti sotto sfratto con sbarre di acciaio elettrosaldato. A quel punto la Celere ripiega per davvero.

Nel luglio 1972 su via della Magliana la scena si ripete. C’è una nuova barricata stradale. Questa volta gli sfratti da scongiurare sono quelli al caseggiato Malta. La barricata riesce nello scopo.

Sono sette mesi ormai che masse di proletari facinorosi sbarrano il passo alle forze dell’ordine. E la Magliana comincia a crearsi la sinistra nomea di un “porto franco”, dove le forze dell’ordine non si avvicinano volentieri. E quando lo fanno, lo fanno scortate dal Reparto Celere in tenuta anti-sommossa.

Inevitabilmente però, si crea alla Magliana anche il terreno fertile per la malavita.

Si registrano due elementari livelli di organizzazione: cani sciolti e batterie. I primi sono piccoli delinquenti che agiscono in proprio: si aggirano famelici per la città cercando case da razziare, auto da scassinare, uno sprovveduto da rapinare. Se capita, smerciano anche piccoli quantitativi di eroina. Le batterie fanno le stesse cose, ma in gruppetti di quattro o più, sotto la guida di un capobatteria.

Le prime evidenze di fenomeni criminali compaiono nelle cronache di giornale dell’estate 1972. Siamo appena fuori dalla Magliana, nella vicina viale Marconi. Avviene una rapina ai danni di un rappresentante. Un fatto banale: ma una pattuglia di polizia che passa di lì, dopo un inseguimento rocambolesco, riesce a bloccarne l’esecutore.

Il suo nome, si viene a sapere, è Maurizio Abbatino. È un cane sciolto, un ragazzino maggiorenne da una manciata di giorni, magro allampanato e dalla folta capigliatura irsuta: per queste caratteristiche è soprannominato Crispino. Il padre è un uomo molto conosciuto e rispettato tra gli autoriduttori della Magliana. È un imbianchino laborioso, di comprovata fede comunista. Ai poliziotti spiega che suo figlio è un adolescente inquieto, al quale in casa non fa mancare nulla. La bravata non si ripeterà più. Al ritorno nel quartiere però l’uomo è assalito dai pensieri. Poco dopo lascerà il lavoro, si rinchiuderà dentro casa. Comincerà a stare male.

A distanza di alcuni giorni la polizia segnala per furto un coetaneo di Crispino, un altro cane sciolto di nome Edoardo Toscano. I ragazzini della Magliana sembrano ora contagiati da un virus: tutti insieme cominciano a delinquere, con una rabbia irrefrenabile e improvvisa.

Un altro ragazzino abita a cento metri da casa Abbatino ed è ancora minorenne: è Enrico De Pedis detto Renatino. Renatino però è diverso da tutti gli altri: Renatino alla Magliana si vede poco e ci torna soltanto per dormire. Renatino ha fatto il grande salto, è entrato in batteria con “quelli dell’Alberone”, sull’Appia. Veste con abiti ricercati e sogna azioni eclatanti, ardimentose. Le realizzerà di lì a breve.

Se il 1972 è stato un anno col fiato corto, tra continui colpi di scena, il 1973 si apre con una notizia addirittura dirompente: nella falda idrica sotto il quartiere c’è un focolaio endemico di epatite virale. Lo scrivono nero su bianco i periti, quelli incaricati a suo tempo dal pretore Cerminara. E i periti dicono di più. Dicono che l’argine sul Tevere non è impermeabile né sicuro: la Magliana può finire sott’acqua da un momento all’altro, come nella tragedia del Vajont, accaduta meno di un decennio prima. Anzi, scrivono i periti, l’intero quartiere della Magliana non sarebbe neppure dovuto sorgere, perché il suo inserimento nel Piano regolatore è frutto di una contraffazione. E si viene a conoscere la vicenda del carteggio ministeriale col piano regolatore ritoccato con la matita color turchino.

Da queste perizie la procura avvia un’inchiesta, che coinvolge 132 persone, con nomi eccellenti tra costruttori e politici comunali. Le ipotesi di reato sono tantissime: epidemia colposa, violazione di norme urbanistiche, abuso d’ufficio, interesse privato in atti d’ufficio.

A marzo intanto si presenta un grande dispiegamento di agenti in tenuta anti-sommossa. Corre voce che stavolta gli sfratti si faranno per davvero. Con le buone o con le cattive.

Su via della Magliana si alza una nuova barricata. Si incendia una catasta di copertoni. La colonna di fumo, acre e densa, è visibile in tutta la città. The Bronx is burninig: la Magliana brucia, come la periferia degradata di New York. Dietro la barricata ci sono facce risolute, pronte allo scontro. Nelle seconde linee però il clima è diverso, quasi festoso. I proletari della Magliana credono di combattere una lotta giusta.

Un attimo prima che la situazione degeneri, la tensione si scioglie: arriva la notizia che il pretore ha concesso una proroga degli sfratti e ha convocato le parti nel suo ufficio, per cercare una mediazione.

A quell’incontro, aprile 1973, il comitato di quartiere espone richieste ad ampio spettro. Alcune sono scontate, come il reinterro del quartiere fino alla quota di sicurezza idraulica e la costruzione delle fogne. Altre richieste sono prevedibili (la riduzione dei fitti). Ma l’ultima richiesta lascia tutti allibiti: dicono che per il futuro gli inquilini-lavoratori della Magliana continueranno a pagare il fitto auto-ridotto a 2500 lire a stanza, mentre chi non ha un lavoro pagherà soltanto “quel che può”.

Prendere o lasciare. Se le richieste saranno respinte, la Magliana continuerà ad autogestirsi.

I costruttori gridano al ricatto, volano parole grosse. Poi però tornano a dialogare, e mettono sul piatto una controproposta: vendere agli inquilini le case in cui vivono, a un prezzo stracciato. Pochi, dannati e subito, purché lascino uscire i costruttori da quella tana di vipere.

La controproposta viene formalizzata. E viene votata nel quartiere, con assemblee scala per scala. Viene respinta. L’autogestione di quartiere va avanti.


(articolo aggiornato il 5 Novembre 2023)