Con l’apertura al traffico delle prime due linee pontificie – la Porta Maggiore-Frascati (1856) e la Porta Portese-Civitavecchia (1859) – l’impresa ferroviaria di Pio IX non è terminata, anzi è solo all’inizio.

Mentre i primi treni portano i Romani a villeggiare ai Castelli e al mare, sono in piedi altri alacri cantieri: la ferrovia Costiera Sud diretta al Porto di Anzio, la lunga e impegnativa Linea Interna per Orte e il Porto di Ancona, la Linea Latina per la Dogana di Ceprano, al confine con il Regno di Napoli.

Fra tutte, la più impegnativa è sicuramente quella che scavalca gli Appennini e raggiunge l’Adriatico ad Ancona. La sua realizzazione, tra arditissimi viadotti, gallerie scavate a colpi di dinamite e improvvisi tumulti garibaldini, si completerà soltanto dieci anni dopo, nel 1866, quando Ancona non è più una città del Papa, ma appartiene già al Regno d’Italia.

Ma torniamo al 1856. In quel periodo i computisti di Pio IX fanno presente al Santo Padre l’esistenza di un problema, di carattere funzionale. A suo tempo si era scelto di di non fare entrare le linee ferroviarie in città, ma di tenerle appena fuori dalle mura cittadine attestando i due capolinea a Porta Portese e a Porta Maggiore. La scelta era motivata dal timore che il treno avrebbe potuto portare con sé fin dentro l’Urbe centinaia di militari stranieri, travestiti da innocui viaggiatori. Ma avere i capolinea “fuori porta”, insieme con un evidente vantaggio di sicurezza interna, comporta anche uno svantaggio: e cioè che le due linee allora realizzate sono scollegate fra di loro, e non possono ancora definirsi una moderna “rete ferroviaria”.

Non si conosce il nome dell’ingegnere che ha trovato la soluzione. Fatto sta che comincia a farsi largo l’idea di realizzare un “anello ferroviario”, cioè un raccordo ferroviario che, girando tutt’intorno alla città senza mai entrarvi, intercetta i due capolinea di Porta Portese e Porta Maggiore, raccordandoli finalmente fra loro.

Il primo tratto dell’Anello ferroviario (il raccordo “Porta Portese-Porta Maggiore”) vedrà la luce nel 1863, nella forma tecnica di una “tratta in diramazione”. La diramazione si innesta sulla Costiera nord per Civitavecchia poco prima del capolinea di Porta Portese, presso le attuali via Quirino Majorana e piazza Ampère.

Nel punto di bivio si realizza una stazione di smistamento, chiamata “Stazione Roma San Paolo”, oggi non più esistente. L’intitolazione a San Paolo deriva dal fatto che all’epoca non esistono ancora i palazzoni di viale Marconi, e la Basilica di San Paolo dalla stazioncina di smistamento è perfettamente visibile apparendo vicinissima, cosa che in realtà non è.

La diramazione attraversa quindi l’odierna piazza della Radio e poi prosegue su via Pacinotti, superando il fiume Tevere con un nuovo e avveniristico ponte ferroviario, costruito per l’occasione: il Ponte San Paolo (oggi Ponte dell’Industria), interamente prefabbricato con componenti in ghisa. Per via del materiale e per la sua funzione ferroviaria il ponte prenderà tra i Romani da subito il nomignolo di “Ponte di ferro”.

Il progettista del ponte prefabbricato è Jean Barthélémy Polonceau (1813-1859), inventore vulcanico capace di passare dalla progettazione minuta delle singole parti rotabili alla costruzione di intere locomotive, fino alla pianificazione della rete ferroviaria parigina. Polonceau è ideatore delle rimesse ferroviarie a rondò (che risolvono il problema dell’inversione delle motrici una volta giunte al capolinea) e dell’ingegnosa capriata Polonceau, un particolare metodo di sostegno dell’impalcato ferroviario, che da allora in poi permetterà ai binari di arrivare praticamente ovunque, scavalcando disinvoltamente fiumi e vallate, o arrampicandosi in montagna.

A Polonceau si deve soprattutto il perfezionamento della tecnologia dei ponti di ferro. I “ponti ferroviari in acciaio e ghisa” di Polonceau non sono i primi realizzati in Europa, ma sono certamente i primi con la caratteristica della prefabbricazione: le singole parti vengono cioè realizzate in fonderia, sono quindi trasportate a destinazione via treno nella quantità e tipologia necessarie, e infine vengono assemblate direttamente sul posto.

Polonceau fa dei ponti di ferro l’elemento jolly delle costruzioni ferroviarie: quando un ostacolo naturale sbarra il passo a un cantiere (ad esempio un fiume, un avvallamento, un’intersezione con una strada) Polonceau lo scavalca con un ponte di ferro. E ciò gli permette non solo di ridurre i tempi delle costruzioni ferroviarie e i loro costi, ma soprattutto permette al treno di arrivare in luoghi fino ad allora inimmaginabili. Anche al di là del Tevere.

A Roma si ricorre al ponte di ferro di Polonceau nel 1863, quando ormai il suo ideatore è defunto già da quattro anni. Ad utilizzarlo è la compagnia ferroviaria Casalvaldès, vincitrice dell’appalto di Papa Pio IX per la realizzazione della diramazione ferroviaria Porta Portese-Porta Maggiore, la cui difficoltà costruttiva principale è rappresentata proprio dall’attraversamento del fiume Tevere tra la via Ostiense e i Prati di Pietra Papa (l’odierno quartiere Marconi): tra sponda e sponda c’è infatti da coprire una distanza di oltre 130 metri.

La prefabbricazione del nuovo ponte avvenne in una fonderia inglese tra il 1862 e il 1863; il montaggio viene operato a inizio 1863 da una società sub-appaltatrice belga; e il tutto si svolge sotto l’occhio vigile degli ingegneri francesi della Casalvaldès e del committente romano, Pio IX, rappresentato in cantiere dallo scrupoloso Monsignor De Merode.

La costruzione del Ponte di ferro di Roma è insomma una prova generale dell’Europa unita, con quasi un secolo di anticipo sui tempi.

Il ponte di ferro di Roma viene intitolato Ponte San Paolo, per la vicinanza con l’omonima basilica. L’impalcato a travate in ferro e ghisa misura 131 metri di lunghezza × 7,25 metri di larghezza; al di sotto si aprono tre luci, delimitate da piloni tubolari poggiati in acqua, anch’essi in ghisa e riempiti di calcestruzzo. Al centro viene collocato un ponte levatoio, apribile, per permettere al di sotto il transito dei piroscafi e degli altri bastimenti merci diretti al porto fluviale di Ripa Grande.

La locomotiva di collaudo passa incolume sul ponte il 10 luglio 1863, e seguono un altro mese e mezzo di complesse prove di carico, in cui vengono fatti passare contemporaneamente due treni, stipati all’inverosimile di materiali, provenienti da direzioni opposte.

L’inaugurazione avviene il 24 settembre 1863, alla presenza di Papa Pio IX e di Monsignor de Merode. Henry d’Ideville, corrispondente del Journal d’un diplomate en Italie, così racconta quel giorno memorabile: “Tutto avviene con una semplicità commovente. Non ci sono né padiglioni, né bandiere, né discorsi. Il Papa non ha fatto annunciare la visita: alle quattro solo gli interessati, i quali sono stati avvertiti, si trovano riuniti”.

Prosegue: “All’orario convenuto si apre la campata centrale per il passaggio di un vaporetto, sotto gli occhi dei fotografi”. Da quelle fotografie saranno tratte numerose stampe. “Si fanno funzionare davanti a Pio IX i meccanismi. Quattro uomini, con sorprendente facilità, abbassano l’immenso ponte levatoio sotto gli occhi dei presenti meravigliati. Monsignor De Merode, uomo di progresso e di iniziativa, corre da un gruppo all’altro e spiega il meccanismo del ponte, con l’ardore e la volubilità che sono del suo carattere”.

Finché, nella meraviglia generale, passa sbuffante il treno. “Tutti circondano Pio IX. Donne, contadini e ragazzi s’arrampicano e scendono a precipizio sui tumuli erbosi, per vedere meglio e poter raccogliere qualche briciola della conversazione del Papa. Un grande numero di stranieri e di turisti, ch’è alla passeggiata nella campagna, fanno fermare le vetture, incantati di trovarsi a assistere a questo spettacolo”.


(articolo aggiornato il 12 Febbraio 2022)