La piazza d’armi prende il nome dalla sua funzione: le esercitazioni militari e le adunanze. Chiamata anche “spianata”, spiazzo interno o cortile, misura circa mezzo ettaro e ha l’aspetto di una “conca allungata”, con la caratteristica di trovarsi incassata a cielo aperto, 8 metri al di sotto del piano di campagna.

Vale la pena ricordare che abili accorgimenti costruttivi riescono a portare la luce naturale in gran parte degli ambienti (e i cunicoli di aereazione assicurano ovunque il ricircolo dell’aria) ma il forte è comunque un’opera ipogea, che vive in ambienti sotterranei.

Il forte non è un’opera di costruzione ma di scavo, traforo e modellamento. La differenza tra un forte e un “castrum” (un castello) è che per costruire un castello si sceglie un’altura prominente e vi si “costruiscno” sopra mura, torrioni e tutti gli spazi per la vita della comunità e della guarnigione; per un forte invece il procedimento è inverso e bisogna “scavare”: l’altura prominente viene modellata, spianata, traforata, affinché da fuori nulla sia visibile della macchina da guerra che dorme nella pancia della terra. In un castello ci sono “tanti muri”: in un forte invece i fianchi in tufo sono solo dei paramenti di copertua, oltre i quali si trova la solida roccia della collina. Le mura di un forte sono in grado di resistere a un intenso cannoneggiamento.

Dalla piazza d’armi lanciamo dunque lo sguardo verso il cielo, 8 metri più in alto, e immaginiamo lì la sommità della collina, oggi non più esistente perché spianata dal lavoro del corpo zappatori del Genio. Questa altura ha in origine il nome di Collina degli Irlandesi, in memoria del Collegio Irlandese, che viene distrutto per far posto al forte. La collina è il punto orografico più alto del quartiere Portuense: senza i palazzoni moderni del Portuense si godrebbe oggi di un panorama eccezionale: la visuale interseca a valle la via Portuense, controlla a vista sull’altro versante la valle del Tevere alla Magliana, vede a 3,5 km di distanza il Bastione di Porta Portese, e infine traguarda sulla destra il fianco sinistro del vicino Forte Bravetta.

Facciamo adesso silenzio. La piazza, incassata nella solida roccia, presenta un’acustica straordinaria: nessun rumore dalla via Portuense raggiunge la piazza, né il rumore degli spettacoli che spesso si realizzano in piazza d’armi in estate disturbano le notti del quartiere. Non c’è più nessun legame con la città al di fuori.

In effetti, all’interno di un forte militare non c’è bisogno di relazionarsi con l’esterno, o individuare i punti cardinali, perché in un forte i punti di riferimento sono soltanto due: il “fronte di fuoco” è l’asse da dove può arrivare un attacco nemico (è detto anche “fronte marino”, perché si immagina che il nemico arrivi dal mare). Le mura del fronte di fuoco sono possenti e pensate per resistere al cannoneggiamento più intenso.

Il “fronte di gola” (o “fronte di città”) è il fronte opposto, da cui non ci attende l’arrivo dei nemici ma dei rinforzi. È caratterizzato da strutture meno robuste che presentano persino qualche concessione estetica.

Per questo i due lati della piazza sono così diversi fra di loro: la scarpa rivolta al fronte di fuoco è inclinata e inerbita, fatta di terra viva per assorbire i colpi delle artiglierie nemiche; il lato che guarda la città è caratterizzato invece da ordinati prospetti verticali in muratura.

Le serie di arcate presentano elementi decorativi di grande compostezza, con marcapiani in travertino, laterizi fini di colore ocra e rosso, e le gronde in ghisa (i “doccioni”) per il drenaggio delle acque verso una cisterna sotterranea, il cui ingresso è ancora oggi visibile. Poco distante, in galleria, è anche presente un pozzo con rubinetteria collegato alla cisterna.

Vi è, su tutta la piazza, un impianto di illuminazione elettrica in rame a doppio binario, con elementi di raccordo in porcellana, per l’addestramento dei fanti anche in orario notturno. La piazza è parzialmente coperta con un pavé in sampietrino.

Dalla piazza d’armi entriamo dentro la caserma, costituita da una decina di stanzoni con le volte a botte.

Negli stanzoni simili nell’aspetto a quelli di una colonia estiva, possiamo vedere ancora oggi incisi sul pavimento i segni delle brande. Complessivamente, gli stanzoni sono in grado di ospitare una truppa di 700 fanti e artiglieri.

Ma la caserma, va detto subito, per la maggior parte del tempo è vuota. Scrive Carcani: “All’interno si troverà solo un limitato presidio, in massima parte composto di milizie mobili e territoriali, per opporsi almeno fino all’arrivo di un esercito di soccorso”. È all’esercito di soccorso che è destinata la casema, mentre nel forte alloggiano stabilmente quelle poche truppe necessarie per assicurare tre-quattro ore di resistenza immediata, il tempo necessario alla guarnigione residente l’arrivo delle truppe di soccorso, che alloggiano in tempo di pace nella città militare in Prati.

Al segnale di allarme le truppe di soccorso vengono messe in marcia, a piedi, verso il forte interessato dall’attacco nemico. E la potente macchina da guerra sotterranea, in meno di mezza giornata, si risveglia.

I locali della caserma, che prendono il nome militare di “quartiere d’armi”, si trovano due piani sotto il piano di campagna (-8 metri) e ricevono luce naturale dalla piazza d’armi.

La caserma si estende per complessivi 2500 metri quadri, sulla forma di un rettangolo allungato, in cui si succedono ordinatamente le serie prospettiche delle camerate, una dietro l’altra, denominate “ricoveri”. Gli ambienti non sono intonacati e presentano a vista murature in tufo e selce, con volte in calcestruzzo e mattoni cotti.

Due lunghi corridoi longitudinali permettono, attraverso una serie di archi, la comunicazione tra gli ambienti. I corridoi si caratterizzano per le prospettive dai lontanissimi punti di fuga, in cui le arcate costituiscono un elemento ripetitivo modulare.

Alle due estremità del quartiere d’armi sono presenti due “ridotte”, cioè locali di “ultima resistenza”, in cui poter proseguire a combattere anche qualora il nemico fosse penetrato all’interno del forte. A fianco si trovano due locali per il confezionamento polveri, con piccoli forni. In questi locali è ancora visibile l’impianto di illuminazione elettrica.

La caserma sotterranea è direttamente collegata a tre casematte: una centrale, la principale, e due laterali, di minor grandezza, chiamate “mezze caponiere”.

Ciascuna casamatta è un locale fortificato a prova di bomba, che prende il nome dalla locuzione “casa marzia” (cioè casa di Marte, il dio delle armi): è il luogo dove si concentra la maggior potenza di fuoco. In caso di attacco diretto la casamatta diventa il cuore militare del forte.

Tutte e tre le casematte si trovano ovviamente sul fronte di fuoco, orientato verso il mare e più esposto ad un attacco nemico, mentre sul fronte di città si trova un’unica casamatta, chiamata “caponiera”, con la funzione di proteggere la garitta d’accesso.

Il fronte di fuoco misura 180 metri ed è costituito da due facce angolate con al vertice la casamatta principale e ai due estremi le due mezze caponiere.

Internamente alla casamatta si distinguono varie parti funzionali. La parte esposta al nemico è chiamata “cannoniera”: ha finestre svasate, per permettere il bordeggio delle artiglierie. Accanto alla cannoniera vi sono due ampie finestre affacciate sul fossato: esse consentono il tiro in infilata sulla linea di nemici, nel caso tentino un attacco lungo il fossato.

In posizione arretrata la casamatta ha alcune riservette, contenenti munizioni per alcune ore di fuoco ininterrotto. A fianco vi sono stanzini fortificati (per l’ultima difesa) e sortite (o portine o posterle) sul piano del fossato (per le azioni di risposta).

Le funzioni delle sortite sono numerose: si tratta di piccole porte in posizione riparata e nascosta, che consentono la comunicazione rapida fra interno ed esterno, offrono un accesso secondario quando il portone principale è sotto attacco, consentono la sortita dei difensori per un attacco di sorpresa. In caso infine sia necessaria l’evacuazione, funzionano da uscita di soccorso.

La Casamatta centrale e le due mezze caponiere sono direttamente collegate alla piazza d’armi mediante piani inclinati: si tratta di gallerie a scorrimento veloce, lungo le quali è possibile, in caso di attacco, portare celermente pezzi di artiglieria su ruote, sfruttando la pendenza naturale della galleria.

Se la funzione della Casamatta centrale è presidiare le due facce angolate del fronte di fuoco, il compito di presidiare le due piccole facce laterali del forte è affidata a due piccole fortificazioni angolari (mezze caponiere), poste agli angoli tra il fronte di fuoco e i due fronti laterali e destinate a battere il fossato con armi da fuoco in infilata.

Esse sono simili per struttura alla casamatta centrale, con la differenza che la cannoniera è orientata, anziché al bordeggio, al brandeggio, cioè lo spostamento della bocca da fuoco sull’asse orizzontale. Sulle cortine delle mezze caponiere si aprono delle caditoie (condotte inclinate per il lancio di bombe a mano contro gli attaccanti nel fossato).

Nel 1881 dunque Forte Portuense è ormai interamente costruito e la collina degli Irlandesi non c’è più. Al suo posto c’è una “tartaruga corazzata” da cui sporgono solo la casamatta frontale, le lunette laterali e la caponiera all’ingresso. La geometria complessiva disegna una articolata figura geometrica – un pentagono schiacciato e asimmetrico – che nel gergo militare ha il nome di “trapezio alla prussiana”.

Il compendio militare di Forte Portuense si completa con un Deposito delle polveri, in alcuni anfratti sotterranei ai Grottoni di Vigna Pia.

Già dal 1879 intanto il generale Bruzzo, divenuto Ministro della Guerra, ha trovato i fondi per i nuovi forti Ardeatino, Casilino, Prenestino, Tiburtino e Pietralata, commissionati a un nuovo progettista: Luigi Durand de la Penne.

In seguito si aggiungono altri tre forti – Antemne, Trionfale e Ostiense – e quattro batterie di raccordo: Tevere, Acqua Santa (Appia Pignatelli), Porta Furba e Nomentana.

Soffermiamoci per un momento, su Forte Ostiense. Si tratta di una fortificazione complementare al Forte Portuense, situata sulla riva opposta del Tevere.

In quegli anni il Genio militare esprime interesse anche per l’altopiano di Montecucco, dove progetta una terza fortificazione – Forte Magliana – che però non sarà mai realizzata. I tre forti – Portuense, Ostiense e Magliana – avrebbero dovuto costituire una piazza d’armi triangolare a presidio del Tevere, simile a quella che sarà realizzata a nord di Roma, con cardine su Forte Antemnæ.

Nel 1884 dunque, con il costo complessivo di 23 milioni di lire (circa la metà di quanto preventivato inizialmente), lo scavo della cerchia trincerata può dirsi completato. E già, purtroppo, fatalmente inadeguato ai tempi. Il limite principale è dato dalla rapida obsolescenza delle strutture, mentre le tecniche militari sono in continua evoluzione.

La forza principale, tuttavia, è che i francesi questo non lo sanno, e si attendono, in un ipotetico sbarco sulle coste romane, di trovare forti corazzati di livello tecnologico uguale o persino superiore al loro. Lo sbarco francese non avrà mai luogo.

Il venir meno del rischio di uno sbarco dal mare fa sì che i forti, appena completati, vengano abbandonati poco dopo. Negli anni che seguono la loro costruzione, dei forti militari sostanzialmente non si sentirà più parlare.

La stampa tornerà a parlare dei forti militari soltanto il 23 aprile 1891, quando si verificherà un terribile fatto di cronaca: l’esplosione della polveriera esterna al Forte Portuense.


(articolo aggiornato il 14 Ottobre 2022)