Attraversato il fiume all’Isola Tiberina, il tratturo del sale prosegue ancora, verso l’interno: i latini daranno a questa percorrenza il nome di Via Salaria.

Gli studiosi, tuttavia, considerano il Battuto Campano (etrusco) e la Via Salaria (latina-italica) un’unica percorrenza funzionale, e hanno coniato il nome complessivo di Asse viario Salaro-Campano.

A percorrerlo però non sono solo i mercanti di sale. Questo comodo tratturo – con possibilità di portare al seguito via fiume zattere cariche di mercanzie di ogni genere – diventa molto popolare anche tra i grandi navigatori del Mediterraneo – fenici e greci –, che lo percorrono per aprire nuove piazze ai loro affari nell’entroterra.

Se il tratto interno si presenta abbastanza insicuro, il tratto iniziale del Battuto campano, dalle saline al Gianicolo, è ben presidiato da sette piccoli avamposti militari di Veio, posti a distanze più o meno regolari.

I naviganti greci ci tramandano il loro nome: Eπτά πάγοι (Epta pagoi), i Sette pagi.

Ognuno di essi deve avere una qualche palizzata in legno come fortificazione, ed è difeso da una guarnigione armata fino ai denti. Una volta dentro, si presenta ai navigatori greci come un bazaar affacciato sul fiume.

Non conosciamo l’esatta localizzazione degli Eπτά πάγοι.

Uno di essi doveva trovarsi al Gianicolo; un altro probabilmente presso l’attuale Ponte Galeria, di cui ci è anche pervenuto il nome etrusco: Careia. E con buona probabilità uno di questi avamposti doveva insistere anche sull’Ansa della Magliana, a presidiare l’accesso a una via d’acqua interna, l’attuale fosso della Magliana. Degli altri quattro invece non conosciamo l’esatta ubicazione.

Lasciandoci aiutare dall’immaginazione, proviamo a entrare in uno di questi empori del Tevere.

Le capanne sono simili a quelle di Veio ma, a distanza di un secolo, si sono evolute: hanno forma rettangolare o quadrata, con tetti a tegole di terracotta. Ci sono fondazioni in tufo, pilastri in legno, pareti di fango.

Le capanne, che fungono inoltre da botteghe, contengono ingenti scorte di sale e metalli pronte alla vendita, nonché prodotti d’artigianato come le terrecotte di Veio, l’oreficeria e i vasi neri di bucchero di Cerveteri, i tessuti di lino di Tarquinia.

Qui si può anche sostare per la notte al riparo dai predoni, prima di riprendere la risalita del Tevere. Si trova sempre una tavola imbandita con una farinata, una torta bassa di farro macinato ammorbidito nel latte, con accanto formaggio fresco o stagionato, ceci, lenticchie e fave. Nei giorni di festa non manca un cosciotto di pecora.

Dirimpetto, sulla riva sinistra del fiume, i popoli dei Colli Albani per ora restano a guardare, limitandosi di tanto in tanto a qualche spavalda razzia al di là del fiume.

Etruschi e latini tendono perlopiù a ignorarsi finché possono, immersi rispettivamente in una parabola storica diversa e asimmetrica.

Gli etruschi si avviano ormai verso una fase calante: sono un popolo maturo, raffinato; dopo essere stati capaci di costruire una estesa rete di commerci e relazioni pacifiche, vogliono ora goderne a pieno i frutti.

I latini sono invece un popolo di recente formazione, straripante di bellicose energie.


(articolo aggiornato il 4 Febbraio 2023)