Il primo umanista a mettere piede alla Magliana si chiama Niccolò Forteguerri.

Forteguerri è un talento multiforme, capace di passare dalla pratica fisica delle armi all’arte sottile della diplomazia. È in grado di pianificare movimenti di eserciti e flotte navali; sa fondere l’oculatezza nella gestione finanziaria con gli slanci più elevati della fede. Le figure come la sua nel Quattrocento romano hanno un nome: si chiamano “capitani della Chiesa”.

Niccolò nasce lontano, a Pistoia, nel 1419, da un casato nobile ma in ristrettezze economiche. La sua famiglia, per togliersi una bocca da sfamare, lo destina a fare da accompagnatore a un cugino ricco, lo scapestrato Enea Piccolomini, che inviato a Bologna e Firenze per studiare diritto, si ritrova nel turbinìo della mondanità, tra avventure galanti e la frequentazione dei grandi letterati del tempo.

Forteguerri ha il compito di servire e proteggere Piccolomini, ma è molto più che un semplice guardaspalle: è un fraterno compagno di viaggio, un alleato per la vita in un’epoca di intrighi e calici di vino avvelenati. Lo segue anche all’estero: prima in Svizzera al Concilio di Basilea, poi in missione diplomatica in Scozia e Inghilterra, dove, a quanto si dice, Piccolomini trova il tempo per lasciare ben due figli illegittimi.

Nel 1442 è la volta del viaggio in Germania. Piccolomini si impiega alla corte di Federico d’Asburgo, come autore di commedie e intrattenimenti licenziosi, conseguendo il grado di “poeta di corte”. Una carriera brillante, cosmopolita e divertita, quella di Piccolomini. E Forteguerri a seguirlo passo passo.

Un giorno però Enea Piccolomini si ammala. Vede la morte in faccia. Quando guarisce, Piccolomini è un uomo nuovo, illuminato da una sincera conversione a Dio.

Nel 1445 Federico lo invia in missione a Roma, dal papa Niccolò V, per appianare alcune divergenze. Inaspettatamente, Piccolomini ci riesce. Il pontefice è così affascinato da quel profondo conoscitore del mondo, eppure così sinceramente pio, che lo trattiene a Roma. E dopo non molto lo nomina vescovo, con l’incarico delicato di riportare all’ordine la diocesi ribelle di Siena. Ma Piccolomini non va a Siena: ci manda il fidato Forteguerri, in veste di uditore del Patrimonio, una via di mezzo tra un banchiere e un ministro delle Finanze. Forteguerri rimette i conti senesi a posto e in ricompensa ne riceve la berretta da cardinale.

È un tempo magico per Forteguerri. Come cardinale partecipa al conclave del 1458, in un agosto rovente. Forteguerri dispiega tutta la sua arte oratoria, per convincere i porporati che scegliendo il vescovo Piccolomini si apriranno per la Chiesa orizzonti nuovi. L’impresa riesce: il peccatore Enea Piccolomini, divenuto ora un maturo uomo di fede, è il nuovo papa.

Da pontefice Enea si fa chiamare Pio II, come il “pio” Enea cantato da Viriglio. Con lui la Chiesa tornerà a occuparsi di cose spirituali e la riforma arriverà dall’interno.

Pasquino, la statua parlante di Roma, si accorge subito che questo papa è diverso: “Quand’ero Enea, nessun mi conoscéa. Or che son Pio, tutti mi chiaman zio”, gli fa dire. Ma il nuovo papa lascia gli aspiranti-nipoti a bocca asciutta. Gli incarichi di governo, nei posti che contano, li affida a persone competenti di cui può fidarsi ciecamente. Forteguerri diviene nel 1459 tesoriere apostolico, cioè ministro delle Finanze.

È in ragione di questo incarico che Forteguerri arriva al Fundus Manlianus. Le proprietarie, le monache di Santa Cecilia, versano in grave dissesto economico; nei loro conti hanno lasciato una voragine.

Forteguerri medita di vendere la tenuta, per fare cassa. Poi però vi si reca in visita per ispezionarla e se ne innamora. La chiesina di Sanctus Johannes de Manliana non è più officiata da tempo, e il Palatium Sancti Johannis è in abbandono. Forteguerri intende capovolgere questo disastro: il Fundus Manlianus ha un grande potenziale economico. Gode inoltre di una incontaminata bellezza ed essendo percorso dal fiume Magliano (oggi fosso della Magliana) ha anche ricchezza di acque e selvaggina.

Forteguerri rinuncia alla vendita e adotta una scelta diversa: il 14 marzo 1460 si fa nominare cardinale di Santa Cecilia e amministra personalmente la tenuta, con il titolo di “cardinal commendatario”. Le visite di Forteguerri alla Magliana sono frequentissime. Con sé raduna nobili, alti porporati e il loro seguito, diffondendo a Roma un uso già assai popolare in Toscana: le battute di caccia.

Forteguerri ordina anche la demolizione del Palatium Sancti Johannis, così malridotto da non essere restaurabile. E al suo posto fa costruire un casino di caccia. Da quel piccolo edificio inizierà la rinascita della tenuta.

La quiete della Magliana, però dura poco: Papa Pio affida a Forteguerri il delicatissimo compito di sedare una rivolta scoppiata sulla costa romagnola. Il clima è incandescente: i Montefeltro di Urbino oscillano tra fedeltà e ribellione; i Malatesta di Rimini e gli irriducibili Savelli si sono già ribellati. Poco distante si aggirano i mercenari del Piccinino, uno spietato capitano di ventura. Forteguerri attacca via terra e con la flotta pontificia attua uno dei primi bombardamenti navali. Senza pietà, passa a filo di lama chi non è disposto a deporre le armi. La sua missione è un successo (1463).

Forteguerri ha modo di tornare per qualche tempo agli ozi della Magliana. Ma Piccolomini gli affida ancora una nuova missione: nel 1464 lo mette a capo della Lega contro i turchi, contro i quali Forteguerri intraprenderà una crociata, con partenza da Ancona.

Il pontefice lascia Roma alla volta della città adriatica, per benedire la flotta crociata. C’è un clima torrido, il viaggio è penoso. E Papa Pio incomincia a stare male. I medici che lo visitano emettono un terribile responso: Papa Pio ha contratto la peste. Enea Piccolomini muore il 14 agosto 1464. La vita di Forteguerri è come se finisse in quello stesso giorno.

Dal nuovo papa Paolo II, Forteguerri ottiene un “buen retiro”, un incarico tranquillo come governatore di Viterbo. Dopo non molto muore, bevendo un calice avvelenato.


(articolo aggiornato il 8 Dicembre 2021)