Dopo il 146 a.C. Roma domina il Mediterraneo: oro, bottini e schiavi affluiscono in città. Le grandi famiglie concentrano terre nei latifundia, relegando i piccoli proprietari ai margini. I contadini sfrattati affluiscono nell’Urbe, mentre la distribuzione del grano – l’annona – diventa strumento politico. In campagna, la manodopera servile gestisce aziende estese; il paesaggio si polarizza tra enormi proprietà improduttive e terre pubbliche sottratte ai cittadini.
Nel 133 a.C., il tribuno della plebe Tiberio Sempronio Gracco promuove la riforma agraria: la lex Sempronia redistribuisce l’ager publicus ai cittadini poveri, fissando limiti alla grande proprietà (500 iugeri più quote per i figli) e formando lotti più piccoli. Terra anche a veterani e italici alleati, con cittadinanza. Una commissione – Tiberio, il fratello Gaio e Appio Claudio – sovrintende alla riassegnazione. Lo scontro con le élites terriere è immediato e si conclude con l’assassinio di Tiberio, ma la riforma sopravvive e apre spazio a un ceto di agricoltori imprenditori.
Nel suburbio romano compaiono ville rustiche di medie dimensioni, macchine agricole più che residenze. Una di queste affiora nel 1989 durante i lavori per il campo da golf di Parco de’ Medici, nel territorio della Magliana: la Villa del Torcularium. Probabile cascina vinicola, presenta un grande vascone per la pigiatura dell’uva, rivestito in cocciopesto.
La prima fase edilizia (fine II sec. a.C.) comprende due ambienti principali (A e B) in opus incertum, il vascone D accessibile da due gradini e l’ambiente C con canaletta in opus spicatum. Nel I sec. a.C. si aggiungono una seconda vasca E in opus reticulatum, due nuovi ambienti (F e G) e un pozzo circolare H, oltre a un tratto di strada basolata a nord. “Vasche e canaletta indicano la zona produttiva della villa” osserva l’archeologa Laura Cianfriglia, sottolineando che lo scavo è parziale e non chiarisce se esistesse una parte residenziale.
In settembre, l’ammostatura diventa festa campestre: contadini nel vascone, canti a Liber, mosto che impregna d’aroma la Magliana. La villa resta attiva fino al III sec. d.C., poi ridotta a masseria dopo l’invasione dei Goti, scompare verso la fine del VII secolo.
Parco de’ Medici racconta così otto secoli di storia: un paesaggio agrario capace di adattarsi ai mutamenti, dove il lascito della riforma di Gracco si riflette nell’equilibrio tra ricchezza e lavoro.
Nel 123 a.C., dieci anni dopo l’assassinio di Tiberio, il fratello minore Gaio Sempronio Gracco diventa tribuno della plebe. Vuole completare e ampliare l’opera iniziata, ma con una visione più ampia: non solo redistribuzione di terre, ma riforme per riequilibrare il rapporto tra ordini e rafforzare la plebe urbana. Con le leges frumentariae stabilisce la vendita di grano a prezzo calmierato, creando una rete di approvvigionamento statale. Con le leges iudiciariae toglie ai senatori il monopolio dei tribunali, affidando i processi a giurie di equites.
La plebe lo acclama, gli equites guadagnano prestigio, il Senato reagisce. Nel secondo tribunato propone nuove colonie e infrastrutture, ma le tensioni degenerano in scontri. Nel 121 a.C., sul Gianicolo, accerchiato, chiede a un fedele di ucciderlo per evitare la cattura. Alcune riforme sopravvivono, tra cui la gestione pubblica del grano e una redistribuzione agraria ridotta.
La riforma incide sul territorio: il circondario di Roma è suddiviso in piccoli appezzamenti, al centro dei quali sorgono ville rustiche, strutture agricole razionali per nutrire un’Urbe in crescita. Le produzioni si specializzano: vigne, uliveti, orti e frutteti, con i raccolti accentrati in masserie.
In questo contesto, tra luglio e agosto 2008, l’équipe di Daniela Gabarrini indaga un sito su via di Malnome, in località Piana del Sole, all’interno di un latifondo della società agricola Prati Fioriti. Resti affioranti di murature in calcestruzzo vengono identificati come le fondazioni di una villa sorta alle soglie del I secolo a.C., in uso fino al II d.C.
Oggi rimangono solo le fondazioni: le attività agricole moderne hanno “rasato” le parti in elevazione, rimuovendo pietre e murature. Ma anche le sole basi raccontano la distribuzione e le funzioni degli spazi. Il complesso è organizzato in due settori contigui. Quello settentrionale, più antico, è la pars urbana: sette stanze a L, tra cui un ampio salone, realizzate con fondazioni lineari in calcestruzzo, pietrame di tufo e malta. A nord-est altre stanze furono demolite già in antico per aprire un canale di deflusso.
Il settore meridionale, costruito dopo, è di qualità inferiore: stessa tecnica, ma con ampie gettate di ghiaia per ridurre i costi. Qui la funzione è produttiva. Un’ala a sud-est presenta due piccole stanze sul lato occidentale e un portico con pilastri; a sud-ovest un’altra ala, non scavata, probabilmente simile.
Nel 2011 ulteriori indagini individuano un tratto del muro perimetrale, costruito senza fondazioni e con materiali di risulta – laterizi, spicatum, cubilia, frammenti ceramici – segno di un crollo e di un successivo riuso dei calcinacci per erigere una muraglia di protezione.
Piana del Sole, meno monumentale di altre ville rustiche, attraversa secoli di adattamenti: dalla pars urbana del I secolo a.C. alla concentrazione tardoantica in forme ridotte e difensive. È la testimonianza di come le riforme dei Gracchi abbiano trasformato anche gli angoli periferici dell’agro in nodi produttivi al servizio di Roma.
Alla fine del II secolo a.C., Roma è una potenza mondiale, ma in equilibrio instabile. Tra il 112 e il 105 a.C., la guerra giugurtina scuote la Res publica: Giugurta, re di Numidia e alleato infido, corrompe magistrati e prolunga il conflitto. In questo scenario emerge Caio Mario, homo novus di origini popolari. Console nel 107 a.C., promette di chiudere la guerra in un anno se il Senato gli consente di riformare l’esercito, aprendo le legioni anche ai ceti umili.
La riforma funziona, ma la guerra si protrae. Nel 105 a.C., mentre Mario è ancora impegnato, incombe la minaccia dei Cimbri, popolo germanico. Mario ottiene il rinnovo della carica per più mandati consecutivi, fino alle vittorie decisive di Aquae Sextiae e Vercellae.
Mario appoggia poi Lucio Apuleio Saturnino, tribuno della plebe e promotore nel 100 a.C. di una riforma agraria sulla scia dei Gracchi: frazionamento dei latifondi e assegnazione di terre pubbliche a veterani e alleati. L’aristocrazia terriera blocca il progetto; segue una rivolta repressa da Mario stesso, che perde l’anno dopo la rielezione a console.
Nel 91 a.C. scoppia la Guerra sociale: le città italiche chiedono la cittadinanza, inizialmente negata. Dopo anni di combattimenti, nell’89 a.C. la Lex Plautia Papiria la concede a tutti gli Italici.
Emergono nuove figure, come Lucio Cornelio Silla, capo degli Optimates e avversario di Mario. Nell’88 a.C., Silla marcia su Roma e diventa console; l’anno seguente Mario e Silla si affrontano apertamente. Ostia, fedele alla classe senatoria, si schiera con Silla; Mario la fa saccheggiare. La guerra civile segna il destino della Repubblica.
Nel 83 a.C. Silla prevale e, l’anno dopo, si proclama dictator a tempo indeterminato. Avvia le proscrizioni: eliminazione dei nemici, premi per i loro uccisori, confisca dei beni.
Tra i proscritti figura anche un giovane nipote di Mario: Caius Julius, nato il 13 luglio 100 a.C., destinato a diventare Giulio Cesare. Educato alla grammatica e all’arte militare, è descritto da Svetonio come “di alta statura e carnagione chiara”, insofferente per la calvizie incipiente. Silla lo risparmia ma avverte: “In lui vedo mille volte Mario”. Cesare lascia Roma e fugge in Oriente.
La generazione di Mario e Silla ha trasformato la Repubblica: guerre esterne e rivalità interne si intrecciano, e i comandanti diventano arbitri della politica. In questo scenario Cesare impara che il potere si conquista tanto nelle piazze e in Senato quanto sui campi di battaglia.
Nel 73 a.C., in una scuola di gladiatori di Capua, un gruppo di uomini fugge. Tra loro c’è uno schiavo trace: Spartaco. In pochi mesi la ribellione diventa guerra aperta. Decine di migliaia di schiavi, contadini e disertori si uniscono a lui, infliggendo pesanti sconfitte agli eserciti romani. Le cronache parlano di una marcia verso nord, forse per tornare alle patrie, e poi di un ripiegamento verso sud. Nel 71 a.C., Marco Licinio Crasso stringe la rivolta in Calabria: Spartaco cade in battaglia, e migliaia di prigionieri vengono crocifissi lungo la via Appia.
Per raccontare quel tempo di gladiatori-schiavi, ci spostiamo lungo la riva del Tevere, dove resiste una rovina solitaria: il Trullo, detto anche Turlone o Trullo de’ Massimi, dal nome della famiglia che lo possedeva nel XII secolo.
Il sepolcro, a pianta quadrata, è in grandi blocchi di tufo, sormontati da una cupola schiacciata in muratura a sacco, a forma di tumulo con lucernario centrale. Alto in origine circa cinque metri, oggi appare più basso: le piene del Tevere hanno interrato parte della struttura. All’interno si apre una camera circolare con sette nicchie simmetriche per urne cinerarie. Scoperto nel 1926 durante lavori di arginatura, richiama forme antiche di rango elevato, simili alle tombe a tumulo etrusche e imperiali, come la Mole Adriana.
Oggi il Trullo è spoglio: le lastre di marmo che lo rivestivano sono scomparse. Nel 1951 una draga urta un relitto davanti al sepolcro: nella stiva, i sommozzatori dell’archeologo Claudio Mocchegiani Carpano trovano venti lastre, tre stele virili togate e una testa. Un documento del 1462 racconta l’origine del carico: due razziatori, Mastro Cencio e Mastro Petro, “a cavar marmi a lo Trullo”, li imbarcano con Mastro Silvestro; il peso eccessivo affonda l’imbarcazione.
Nel 1981 Rita Paris e Patrizia Sabbatini-Tumolesi esaminano i reperti e identificano un bassorilievo in marmo lunense (cm 120 × 75 × 37) con la scena di un combattimento tra gladiatori: un provocator, con gladio corto, scudo rettangolare ed elmo con paratempie aperte, affronta il rivale mentre un terzo attende. L’armamento colloca lo scontro attorno al 70 a.C.: il defunto è un contemporaneo di Spartaco.
Un’epigrafe incisa sul sepolcro recita: “IUL W”. Le prime lettere abbreviano Iulius; la W, insolita, è interpretata come due V: la prima è cinque (quinquies), la seconda vicit. “Iulius quinquies vicit”: Giulio ha vinto cinque volte.
Cinque vittorie consecutive erano un’impresa eccezionale. Forse il sesto incontro fu fatale; o forse, dopo il quinto trionfo, Iulius si ritirò tra gli invicti. Oppure partecipò alla rivolta di Spartaco, cadendo in battaglia.
Oggi, nascosto tra la vegetazione e raggiungibile costeggiando via delle Idrovore della Magliana e la vecchia “bufalara”, il Trullo resiste come sentinella di pietra. La cupola e le nicchie conservano la memoria di un gladiatore vincitore di cinque incontri, in un’epoca in cui il confine tra spettacolo e guerra era sottile e l’eco di Spartaco rimbombava ancora lungo il Tevere.
(articolo aggiornato il 17 Agosto 2025)



