Sette pagi (e un porto marino?) sulla rotta del sale

L’anno 753 a.C., secondo la tradizione letteraria, è l’anno in cui Roma inizia ad esistere.

Un re leggendario, Romolo, guida piccole comunità latine sul colle Palatino, offrendo loro protezione e opportunità inedite. Anche una tribù etrusca stanziata sulla riva sinistra, i Luceres, si sarebbe aggregata nell’impresa. Gli studiosi hanno discusso molto sull’accuratezza storica della leggenda fondativa, ma è un dato condiviso che verso la metà dell’VIII secolo Roma è ormai una realtà concreta e operante della Storia.

Dal Lucus Furrinae, sul Gianicolo, i Veienti osservano da tempo quei movimenti: sanno bene che la nascita di un villaggio straniero, a ridosso della frontiera e di quel nodo vitale per gli scambi dell’Isola Tiberina, può costituire sia un alleato prezioso che una minaccia esistenziale. I contatti tra Veienti e Romani si moltiplicano: ambasciate e doni reciproci, accordi sui traffici fluviali, matrimoni misti per legare le rispettive aristocrazie.

Veio a quell’epoca ha raggiunto l’apice del suo potere e vuole goderne i frutti: la pace conviene a tutti. Veio domina ormai l’intera riva destra del Tevere da Monte Mario fino alle saline costiere, e il suo territorio è amministrato fiduciariamente da famiglie aristocratiche fedeli al lucumone. Una rete capillare di presìdi, rotte fluviali e alleanze assicura la prosperità e l’influenza di Veio nella regione.

I santuari condivisi del Palatino e del Gianicolo rafforzano tra etruschi e latini un linguaggio comune di fede: Giunone, Diana, divinità fluviali, venerati con nomi diversi ma radici comuni, tessono legami spirituali che propiziano alleanze e patti commerciali.

Alla metà dell’VIII secolo si registrano nuovi insediamenti nella maglia di presìdi intermedi della Silva Moesia. A Malagrotta, in località Quarto della Vipera, è emerso un abitato con le sue ceramiche villanoviane. La necropoli di Pantano di Grano-Monte Rondone ha rivelato raffinati corredi funerari, di transizione verso l’Orientalizzante, segno dell’apertura culturale verso il Mediterraneo.

Roma, nel frattempo, cresce veloce, attira a sé popolazioni e traffici, e si prepara a sfidare la potenza veiente. Così nasce una relazione complessa, sempre in bilico fra collaborazione e conflitto, che presto vedrà le due città contendersi le stesse risorse, come rivali destinate a specchiarsi una nell’altra, in un duello di potere e sopravvivenza da cui soltanto una delle due uscirà vincitrice.

Superata l’Isola Tiberina, lungo la riva destra del Tevere la presenza veiente si organizza in una struttura di controllo capillare nota attraverso le fonti greche come “Epta Pagoi” (in latino Septem Pagi), cioè i sette villaggi. Mancano ad oggi delle evidenze archeologiche, per cui la loro posizione è congetturale.

Di questi avamposti, attivi già intorno alla metà dell’VIII secolo a.C., sappiamo che sono posti a distanze regolari tra il Trastevere e la foce, e fungono da sentinelle militari e punti di scambio commerciale, garantendo a Veio la sorveglianza sui movimenti fluviali e terrestri verso Roma e le vie interne. Le fonti greche e latine descrivono questi presìdi come punti di raccolta per il sale e per le merci che scendevano dalle saline costiere.

Le posizioni degli Epta Pagoi, dicevamo, sono meramente congetturali. È possibile che un punto di controllo sorgesse presso l’affluente navigabile di destra Rio Galeria (presso l’odierno quartiere Ponte Galeria), così come è probabile che un altro insediamento sorgesse a presidio del Rio Magliana (Magliana vecchia), del Rio Affogalasino (Trullo) e del fosso di Donna Olimpia (che sfocia presso l’odierna piazza Meucci, quartiere Marconi). Questi piccoli centri vegliano sulla foce di torrenti navigabili, costituendo una rete di protezione contro incursioni e facilitando il prelievo di dazi commerciali.

Il Gianicolo intanto prende forma come un abitato-satellite di Veio, con tracce di frequentazioni continuative da parte delle aristocrazie veienti: residenze con muri in opera quadrata, databili tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.C., testimoniano la presenza di famiglie di rango. A poca distanza, le necropoli presentano tombe “a vestibolo” e “a tramite”, strutture monumentali che segnalano l’esistenza di una comunità stabile e ben organizzata.

Alcuni studiosi contemporanei, come Arizza e Rossi (2022), ipotizzano che questa presenza non fosse episodica, ma frutto di una pianificazione urbana voluta dal lucumone di Veio. Sarebbe quindi un’espansione strategica, capace di garantire un predominio su più fronti: l’accesso diretto ed esclusivo al sale, la gestione dei traffici commerciali via Tevere, e l’influenza spirituale sui santuari latini.

Quest’ultimo aspetto, quello della funzione sacra, non va sottovalutato: lungo il Tevere, la devozione verso divinità fluviali e ctonie crea un terreno fertile per relazioni rituali e alleanze. I Rasna sono maestri nell’integrare il sacro al politico, trasformando questi insediamenti in centri di aggregazione sociale oltre che militare.

In quest’area, la vita quotidiana si mescola al commercio e alla religione: le case aristocratiche ospitano banchetti, le necropoli celebrano fasti dinastici, le vie d’acqua trasportano merci e storie.

Lungo il Tevere, Veio costruisce la propria fortuna. Il fiume, rotta commerciale animata da merci, uomini e idee, diventa la vera spina dorsale dell’economia veiente. I Rasna comprendono presto quanto sia prezioso dominarne il corso e ne fanno un sistema di traffici regolato e redditizio, capace di alimentare ricchezza e potere.

Il sale è la merce più ambita: raccolto nelle saline di Maccarese e Ostia, rappresenta un “oro bianco” indispensabile. Per garantirne la produzione, Veio organizza vasche artificiali circondate da bassi muretti, superando la semplice evaporazione estiva. Una volta pronto, il sale viene caricato su imbarcazioni a fondo piatto, sospinte controcorrente da lunghe pertiche, oppure trainate da buoi che percorrono i sentieri battuti lungo la riva destra. Proprio questi percorsi formano un corridoio economico continuo dalla costa tirrenica fino al guado dell’Isola Tiberina, punto strategico di passaggio verso il mondo latino.

Gli studiosi si interrogano ancora sull’esistenza di un porto marino “proprietario” di Veio. Alcuni sostengono che non fosse necessario, grazie alla vicinanza del porto di Pyrgi, controllato da Cerveteri, alleata fedele. Inoltre Veio intrattiene rapporti con il porto fluviale di Ficana, presso la riva sinistra del Tevere, dove gli scavi restituiscono ceramiche e buccheri di matrice etrusca già dall’VIII secolo a.C.

Altri ipotizzano l’esistenza di un “porto lagunare” negli stagni di Maccarese, collegati al Tirreno tramite un canale navigabile. Forse presso la foce dell’Arrone, o più a sud, sorgono magazzini e pontili lignei dove il sale viene pesato, tassato e avviato verso l’interno. Anche senza prove definitive, l’ipotesi resta affascinante, perché spiega la gestione capillare delle risorse e dei traffici.

Veio, forte di questo controllo, impone dazi e pedaggi: chi vuole passare paga, ottenendo in cambio protezione e garanzie di viaggio sicuro. È una strategia abile, capace di garantire ricchezza senza scontri diretti. Così il sale veiente raggiunge la Campania, la Sardegna e perfino rotte orientali, mentre in cambio giungono ceramiche greche, bronzi raffinati, tessuti colorati.

Attorno ai porti fluviali fioriscono attività collaterali: taverne, laboratori, luoghi di culto dove marinai e mercanti offrono libagioni agli dèi prima di ripartire. Il fiume è spazio “sacro e profano” insieme, dove la religione etrusca si intreccia con le esigenze del commercio.

Grazie a queste risorse, Veio finanzia opere pubbliche, celebra riti solenni e rinsalda la sua rete di alleanze. Il Tevere non è soltanto un corso d’acqua: è la linfa vitale che alimenta la grandezza veiente e ne prepara il destino di potenza regionale.

Alla fine dell’VIII secolo a.C., Veio consolida la propria egemonia sulla riva destra del Tevere con una rete stabile di insediamenti e sentieri.

Tra questi sentieri spicca il cosiddetto “Battuto Campano”, un ampio sentiero carrabile che asseconda passo passo la riva destra del Tevere, collegando le saline costiere con il guado dell’Isola Tiberina. Questo tracciato, battuto giorno dopo giorno dalle coppie di buoi che trainano le chiatte cariche di sale, diventa la principale arteria commerciale della regione. Il nome stesso, legato al termine latino “campus” per indicare le saline (Campus Salinarum), ci racconta la centralità economica di questa “via del sale” per l’intero Lazio.

Altri sentieri che prendono forma in questa fase sono il Battuto della Via Aurelia e il Battuto della Via Cornelia. Non si può ancora parlare di strade in senso moderno, ma di ampi tratturi battuti con frequenza.

Ci testimoniano questi nuovi percorsi due nuovi insediamenti che sorgono entrambi intorno al 720 a.C. Sul battuto dell’Aurelia sorge l’insediamento dell’Acquafredda, dove gli archeologi hanno trovato tracce di capanne, fossati e scarichi domestici.

Più ad ovest, lungo il battuto della Cornelia, è attestato l’insedimaneto dei Muracci di Malagrotta, dove si sovrappongono strati archeologici che mostrano una continuità di abitato dall’VIII secolo fino all’Orientalizzante.

Proprio in questi anni si colloca idealmente la morte leggendaria di Romolo, il fondatore dell’Urbe. La leggenda vuole che Romolo sia stato assunto in cielo in forme divine, nell’anno 715 a.C. Gli Etruschi interpretano questo evento attraverso i segni del cielo: i fulmini, il volo degli uccelli, le viscere degli animali sacrificati. Sono i rituali dei fulguriatores e degli aruspici, che decifrano la volontà divina per guidare le decisioni politiche. Questo sapere religioso, la cosiddetta disciplina etrusca, influenzerà profondamente anche la Roma arcaica.

Si narra infatti che Romolo stesso abbia introdotto in città istituti etruschi come la toga praetexta, la fascia purpurea simbolo di potere, e i fasces, fascine di rami legati attorno a un’ascia, segno di giurisdizione suprema.

In questo scenario di alleanze, scambi e contatti intensi tra le due rive del Tevere, prende forma anche la prima lega fra Veio, Cerveteri e Tarquinia, che unisce città etrusche per regolare commerci, difendersi e affermare un’identità comune. Parallelamente, la cultura latina continua a formarsi attorno a Roma, generando una koinè che, seppur diversa, dialoga con il mondo Rasna.


(articolo aggiornato il 9 Agosto 2025)