Al Portuense c’è un edificio in stile razionalista la cui paternità è incerta: è la Casa del Fascio portuense. È possibile che sia opera di Giuseppe Terragni, il celebre “architetto delle case del Fascio”? Tra indizi e ipotesi suggestive il mistero resta aperto, ancora oggi.
Il Fascio portuense
Siamo su via Portuense, civico 549, a pochi passi da largo La Loggia. Qui sorge un piccolo edificio in cemento armato rivestito con intonaco rosso e “finto travertino”, una speciale malta a trompe l’œil che vista da lontano imita l’aspetto del travertino romano. Lo stabile, costruito a cavallo tra anni Trenta e Quaranta, è stato sede della Casa del Fascio rionale di Portuense e Monteverde.
La sezione rionale era intitolata a Luigi Platanìa, figura controversa celebrata dalla propaganda di regime come “martire fascista”: nato nel 1890, fu un militante anarchico durante la Settimana rossa del 1914 a Rimini e, nel 1919, fu tra i fondatori dei Fasci di combattimento della stessa città. Venne assassinato due anni dopo, in circostanze mai del tutto chiarite.
L’edificio presenta una pianta a T e si sviluppa su due livelli, con una torre prominente dotata di “arengario”, la balconata per i discorsi alla folla, radunata nel piccolo spiazzo sottostante. Il pianterreno è occupato da una grande aula polifunzionale, variamente utilizzata come palestra ginnica, sala per le adunanze e cinematografo.
Il piano superiore è diviso in due settori: su fronte stradale affacciano gli uffici della sezione rionale del PNF; nel corpo arretrato invece è acquartierata la Milizia, le “squadracce” dei volontari in camicia nera.
La disposizione interna degli uffici non è documentata, ma in analogia con le altre Case del Fascio si può pensare alla presenza di una segreteria politica, GIL (Gioventù Italiana del Littorio), Dopolavoro fascista e i Fasci femminili.
L’edificio è stato costruito con la riservatezza tipica delle architetture militari e il suo progettista resta ad oggi sconosciuto. Nei primi anni Duemila, tuttavia, comincia a circolare un nome che pesa: quello di Giuseppe Terragni, “l’architetto delle case del Fascio”.
La riscoperta di Giuseppe Terragni
Nato a Meda nel 1904, Terragni si laureò a soli 22 anni al Politecnico di Milano. Futurista e fervente fascista, iniziò l’attività professionale nel 1927 e nel 1931 divenne fiduciario del Sindacato degli architetti. La sua opera più nota è la Casa del Fascio di Como: una telaio in cemento armato ricoperto da pareti vetrate a volume intero. È da qui che nasce l’espressione “casa di vetro”, per indicare un edificio pubblico trasparente agli occhi dei cittadini. Lo stile di Terragni, capace di fondere modernità e armonia classica, si ritrova in diverse realizzazioni in Lombardia e, dal 1937, anche a Roma.
Va detto che nel Dopoguerra la critica accademica ha a lungo relegato Terragni tra gli autori minori, per lo stigma del suo stretto legame col passato regime. È solo con i primi anni Duemila che Terragni viene, per così dire, “riscoperto”, riconosciuto ed accostato ad innovatori come Le Corbusier e Gropius.
Nel 2004, in occasione della catalogazione delle sue opere da parte del Centro Studi Terragni, compare online la menzione di un suo progetto romano, la “Casa del Fascio rionale di Portuense e Monteverde”, menzione accompagnata dalla cronologia “1939-1940” e dalla specifica “non realizzato”. È più o meno da quel momento che localmente il nome di Terragni viene associato all’edificio di via Portuense 549. Tuttavia, come si vedrà a breve, la menzione è corretta ma non riguarda l’edificio sulla Portuense.
Nel 2005 la Soprintendenza invia personale sul posto, per verificare. Nella breve scheda redatta dall’architetto G. Tantini non si cita espressamente Terragni, ma neppure non lo si esclude: “La ricerca architettonica – si legge – specialmente nelle proporzioni del corpo torre e l’abile camuffamento delle volumetrie militari denotano suggestivamente l’intervento di un progettista autorevole”.
L’identificazione del “progettista autorevole” con Terragni resta dunque un’ipotesi intrigante, ma priva di conferme documentarie.
Una girandola di ipotesi
Sia consentito, adesso, di uscire dal racconto storico per riferire in prima persona di un contributo alla ricerca dato dallo scrivente. Nel 2011 effettuai un sopralluogo per l’Archivio storico municipale, e in quell’occasione mi passò tra le mani una tessera di adesione al PNF. La tessera, datata al luglio 1936, era una delle prime rilasciate dalla sezione Luigi Platania: ciò consente di collocare l’entrata in attività dell’edificio intorno all’estate 1936, mentre il progetto di Terragni per il Fascio portuense non arriverà che quattro anni dopo, nell’ottobre 1940: fui insomma il primo ad intuire che doveva trattarsi di due edifici o progetti distinti, dove Terragni era sicuramente legato al secondo ma non necessariamente anche al primo.
La conferma dei due edifici distinti arriva nel 2013, dalla tesi di laurea di Alessandra Bolli. La studentessa ritrovò i disegni inediti di Terragni per la Casa del Fascio portuense, che non hanno nulla a che fare con l’edificio ad intonaco rosso e finto travertino di via Portuense. Il progetto di Terragni, dai caratteri grandiosi, sviluppa due corpi di fabbrica (Fascio rionale e GIL) collegati tra loro con un ponte sopraelevato. Il prospetto, lungo 26 metri, si articola su quattro livelli di pareti vetrate, con balcone arengario aggettante. Terragni insomma aveva giocato ancora una volta la carta della “casa di vetro”.
La tesi di Alessandra Bolli chiarisce anche la localizzazione del progetto di Terragni, che avrebbe dovuto sorgere su via Ettore Rolli, nelle aree dismesse della ex stazione Trastevere Scalo. Le variazioni urbanistiche occorse nel 1940, e il concomitante scoppio della guerra, lasciarono purtroppo il progetto sulla carta.
Rimane tuttavia ancora un’ultima ipotesi, davvero suggestiva, e cioè che l’edificio di via Portuense non sia precedente al progetto del 1940, ma sia di poco successivo: una sorta di ripiego dopo il ritiro della commessa di via Ettore Rolli.
L’ipotesi della “casa di vetro”
Quest’ultima ipotesi interseca le drammatiche fasi finali della biografia di Terragni, caratterizzate dall’attrito con il regime. Nel settembre 1940 Terragni riceve imprevista la chiamata alle armi, che segna la definitiva interruzione della sua carriera di architetto. Solo in seguito si saprà che Terragni è finito sul fronte yugoslavo: una sua lettera del 1941 rivelerà tutta la sua disillusione verso il fascismo.
È plausibile, a questo punto, pensare che un anonimo tecnico del Governatorato di Roma o del Provveditorato alle Opere pubbliche abbia ripreso in mano i disegni di Terragni, riadattandoli al piccolo lotto di via Portuense 549.
Questa ipotesi non banale trova riscontro nel linguaggio architettonico comune tra i due edifici: anche l’edificio della Portuense ha un telaio in cemento armato, con pilastri e solai coerenti con il lessico progettuale di Terragni. A un certo punto tuttavia, forse per le ristrettezze belliche, si decide di completare l’edificio in maniera sbrigativa: con le tradizionali murature a mattone pieno. Ne risulta un impianto ibrido, dove una struttura portante a telaio in cemento armato è sostenuta anche da robusti quanto inutili muri perimetrali.
Aiutandoci allora con l’immaginazione, possiamo rimuovere quei muri e pensare ad un edificio diverso, ricoperto da vetrate ad altezza piena: anche la Casa del Fascio di via Portuense 549, con buona probabilità, era stata pensata come una “casa di vetro”.
La vera domanda, dunque, non è se l’edificio di via Portuense sia (o meno) opera di Terragni; ma piuttosto quale sia il nome dello sconosciuto e sensibile tecnico locale, in grado di far propria l’idea creativa di Terragni e provare a portarla a compimento. Il suo nome, ancora oggi, è celato dal mistero.
Nel Dopoguerra l’edificio di via Portuense è diventato prima “Casa del Popolo”, poi sala da pugilato, “robivecchi” e infine stabile occupato. Oggi versa in condizioni difficili.
(articolo aggiornato il 6 Aprile 2025)