Oggi mi immergo nel rione Monti. Non è solo un rione, ma quasi uno scrigno pieno di storia, arte e anche potere. Ho pensato a un percorso in più tappe, alla ricerca delle storie della Strenna dei Romanisti che parlano di questo rione, per cercare di cogliere l’essenza, le tante anime del rione. Monti ha questa caratteristica: è una stratificazione continua. Camminando sento la storia sotto i piedi: l’antico accanto al moderno, il sacro accanto al profano, insomma, un vero palinsesto.

Inizio da piazza di Porta San Giovanni, un punto di partenza che mi permette anche di ricordare una figura interessante di paroliere e poeta: Mario Fagiolo, noto anche come Mario dell’Arco. Franco Onorati, nella Strenna 2024, racconta le sue canzoni. Nella Roma tra gli anni Venti e Trenta, da Trastevere al rione Monti, Mario Fagiolo si distingue come paroliere sensibile alle voci popolari. Le sue canzoni, da “Er mastro muratore” (1925) ambientata nei cantieri di Testaccio, a “Pupo bionno” (1929) che narra il dramma dei reduci di Libia, restituiscono l’umanità dei quartieri operai. La parabola artistica di Fagiolo è oscillante tra gli echi della guerra e i caffè-concerto di Piazza Navona. Con “Ninna azzurra” (1927), Fagiolo racconta il sacrificio degli aviatori e con “Zampognata ar vento” (1929) sfiora l’amore tragico di un pastore romano. Dalla romanità dialettale alle atmosfere popolari di San Giovanni, le canzoni di Fagiolo testimoniano un percorso artistico che culmina nel 1945 con “Taja ch’è rosso”, consacrando il poeta come innovatore della poesia romanesca. Questa storia, attraverso l’analisi critica, svela il ruolo di Fagiolo come “paroliere ritrovato”, testimone di un tempo e di una città in trasformazione.

Lascio la piazza e mi incammino lungo via Merulana. Al numero 248 trovo Palazzo Brancaccio. Qui c’è un’altra storia legata a un’artista, una “incisora”: Maria Adriana Gai. È una figura ricostruita da Gabriella Centi nella Strenna 2024. Maria Adriana Gai (Recanati 1915 – Roma 2010), è stata una “incisora” raffinata, formatasi tra via Margutta nello studio del pittore polacco Sigmund Lipinsky e via San Giacomo, dove insegnò incisione alla Scuola delle Arti ornamentali del Comune di Roma. La storia raccontata da Gabriella Centi esplora il fondo privato custodito nell’abitazione di via Tuscolana, oggi Archivio Gai-Gaspari, rivelando legami familiari e artistici che attraversano i quartieri romani dei Parioli, di via Merulana (Palazzo Brancaccio) e via Gregoriana (Palazzo Zuccari). I tre ritratti femminili esaminati – Guendalina Baldassarri (1908), Francesca Falca (1905) e la piccola Maria Adriana (1916) – furono realizzati dal nonno di Maria Adriana, Francesco Gai, accademico e presidente dell’Accademia di San Luca nel 1913. Attraverso testimonianze inedite e materiali d’archivio, il saggio delinea un’intensa rete affettiva e culturale tra Roma, Livorno e Recanati, nel contesto dell’Italia tra Otto e Novecento.

Cambio scenario e salgo verso il Colle Oppio, alla Basilica di San Pietro in Vincoli. L’esterno magari non colpisce subito, è piuttosto sobrio, ma dentro c’è il Mosè di Michelangelo. È una statua di una potenza sconvolgente. Fu creato per la tomba di Papa Giulio II, mai finita poi. Michelangelo lo scolpì tra il 1513 e il 1515 circa. È la sua famosa “terribilità”. Non è solo forza fisica, è quasi un’energia sovraumana che incute rispetto, timore. E le famose “corna”, che poi corna non sono: è un classico errore di traduzione dall’ebraico. In realtà sarebbero raggi di luce, “keren”, ma nella traduzione latina qualcosa non andò per il meglio. Il nome “in vincoli” invece si riferisce alle catene: secondo la tradizione, qui sono conservate quelle che legarono San Pietro a Gerusalemme e al carcere Mamertino a Roma, che si sarebbero fuse miracolosamente. La basilica è aperta quasi tutti i giorni, generalmente 8-12:30 e 15-18, d’estate fino alle 19, ed è gratuita.

Ora scendo verso l’area dei Fori. Arrivando in largo Corrado Ricci trovo di fronte un pezzo di Medioevo, la Torre dei Conti. È imponente, una testimonianza di potere voluta da Papa Innocenzo III della famiglia dei Conti di Segni, alla fine del XII secolo. Ne parla Giuseppe Ciampaglia nella strenna 2024. La storia raccontata da Ciampaglia propone un itinerario storico e visivo attraverso le torri medievali dei Conti e delle Milizie, situate rispettivamente tra l’Esquilino, presso largo Corrado Ricci, e il Quirinale, lungo via dei Fori Imperiali, nel rione Monti. Eretta alla fine del XII secolo dai Conti di Segni, la Torre dei Conti fu voluta da Lotario, divenuto papa Innocenzo III (1198–1216), mentre la Torre delle Milizie, costruita da papa Gregorio IX (Ugolino di Anagni, 1170–1241), fu progressivamente sopraelevata. Entrambe subirono gravi danni dal terremoto del 1348. L’autore ricostruisce l’evoluzione architettonica e la fortuna iconografica dei due monumenti attraverso opere di artisti come Van Heemskerck, Van Nieulandt, Ghirlandaio e Cimabue. I restauri novecenteschi, condotti da Antonio Muñoz, ne consolidarono le strutture.

Questa torre è strettamente connessa al futuro dell’area archeologica circostante, al centro di un progetto finanziato anche dal PNRR. L’idea è trasformare quest’area entro il 2026 in una grande Passeggiata pedonale, con maggiore accessibilità . Il progetto comprende anche il restauro della Torre dei Conti, che potrebbe diventare un punto panoramico o un museo. Importantissimi poi sono gli scavi, ripresi da novembre 2024, per riportare alla luce il Templum Pacis di Vespasiano.

Da qui lo sguardo cade sui Mercati di Traiano, un complesso semicircolare di mattoni rossi, spettacolare. Quasi duemila anni fa, intorno al 110 dopo Cristo, era un centro polifunzionale modernissimo per l’epoca, con negozi e uffici. Oggi ospita il Museo dei Fori Imperiali, concepito come un museo diffuso: i reperti dei vari fori (Augusto, Traiano, Cesare e Nerva) sono esposti dentro gli ambienti originali dei mercati. Su sei livelli, permette di capire il contesto con affacci sui fori davvero unici. È aperto quasi tutti i giorni dalle 9:30 alle 19:30 (la biglietteria chiude un’ora prima), l’ingresso è da via 4 Novembre e il biglietto intero costa circa 15 euro.

Arrivo così all’ultima tappa del mio viaggio, il Viminale. Qui si erge l’omonimo palazzo, un simbolo del potere dello Stato italiano. Progettato da Manfredo Manfredi e inaugurato nel 1925, ha un’architettura volutamente severa e austera che comunica autorità. Fino al 1961 ospitava sia la Presidenza del Consiglio sia il Ministero dell’Interno, mentre oggi rimane solo quest’ultimo. Gli interni, dicono, sono sontuosi con marmi, stucchi, cortili, ma normalmente non sono accessibili, tranne in occasioni speciali come le giornate del FAI. La sua mole, vicino alla stazione Termini, rimane comunque un punto di riferimento inconfondibile nel panorama romano.

Così il mio percorso si conclude. Ho toccato tante anime diverse di Monti: dal potere istituzionale del Viminale al commercio antico dei mercati, alla storia che riaffiora a largo Ricci, all’arte sacra potentissima di San Pietro in Vincoli, fino alle storie più intime e locali di Palazzo Brancaccio e Piazza San Giovanni. È forse proprio questo, questa mescolanza continua, questa capacità unica di tenere insieme epoche, funzioni e storie così diverse, la vera magia di Monti. È un patrimonio che non è fermo, non è solo pietra: vive e continua a parlarmi se mi metto in ascolto. È un dialogo costante tra passato e presente, bellissimo.


(articolo aggiornato il 8 Giugno 2025)