Roma non smette mai di raccontare storie, e all’Esquilino queste storie si stratificano come pagine di un libro aperto sul tempo.

Oggi cammino tra resti di acquedotti imperiali, chiese gotiche celate tra palazzi umbertini, mercati brulicanti di lingue diverse e teatri rinati dalle ceneri. Anticamente zona di necropoli e rifiuti, poi bonificata da Augusto che la trasformò in splendidi giardini, l’Esquilino ha visto passare imperatori eccentrici come Caligola e architetti visionari come Palladio. Con Roma Capitale, qui sorsero piazze porticate in stile piemontese e palazzi austeri che oggi ospitano comunità da ogni angolo del pianeta. In questo viaggio a piedi attraverso dodici tappe, riscopro il genius loci di un quartiere unico: cammino tra fasti imperiali, gelati leggendari, rovine nascoste e porte magiche incise di enigmi. Mi perdo tra arcate di acquedotti, sculture di dei egizi e banchi di spezie orientali, portando con me l’eco di chi qui ha vissuto, creato e sognato.

❶ Il mio cammino comincia dal margine orientale dell’Esquilino, dove Porta Maggiore svetta tra binari e tram, incurante del caos moderno.

Duemila anni fa era un doppio arco trionfale di travertino, porta e acquedotto insieme: l’imperatore Claudio la fece erigere nel 52 d.C. per far scorrere l’Anio Novus e l’Aqua Claudia dentro Roma, alimentando fontane e terme. Sotto i miei passi sento ancora il fragore dell’acqua antica, sopra il traffico contemporaneo. Accanto, quasi a scomparire nell’asfalto, la tomba di Marco Virgilio Eurisace, fornaio arricchito, mi racconta di un mestiere elevato a gloria eterna: cilindri di pietra come orci per la farina, incisioni di forni e impasti, una casa per sempre per lui e sua moglie Atistia. Oggi i blocchi di travertino anneriti vegliano su pendolari frettolosi, ma se mi fermo un attimo posso vedere carri di grano, soldati affamati e il profumo del pane che si mescola all’aria di Roma.

❷ Proseguo tra graffiti e rumore di treni e, d’improvviso, mi appare come un fantasma di mattoni: il cosiddetto Tempio di Minerva Medica.

Un nome sbagliato, tramandato da eruditi di secoli fa: qui non si onorava Minerva, ma zampillava un ninfeo spettacolare, parte degli Horti Liciniani, giardini imperiali del IV secolo d.C. Immagino la sala decagonale ornata di statue, colonne e getti d’acqua, coperta da una cupola immensa, terza a Roma solo dopo Pantheon e Terme di Caracalla. Oggi ne resta un guscio diroccato: fulmini, crolli e incuria lo hanno ferito, ma la sua geometria resiste, disegnata anche da Palladio e studiata da Brunelleschi. Mi avvicino alle grate e vedo frammenti di muratura che raccontano secoli di meraviglia. Nei secoli la gente lo chiamava “Le Galluzze”, immaginando galline tra i ruderi. Io vedo ancora acqua, ninfe e imperatori, persi tra rovi e rotaie, un gigante dormiente tra la città moderna.

❸ Continuo a piedi verso via Statilia, lasciando i binari alle spalle. Qui trovo un parco lineare, nato nel 2013 per dare nuova vita a un tratto di città un tempo degradato. Le arcate dell’Acquedotto Neroniano mi guidano come un filo sospeso nel cielo.

Questo braccio dell’Aqua Claudia fu voluto da Nerone tra il 54 e il 68 d.C., per portare acqua fresca alla sua Domus Aurea, ai giardini e alle fontane dorate. Oggi passeggio sotto piloni di laterizio alti venti metri, alcuni restaurati dai Severi, altri ancora segnati dal calcare dei secoli. Tra le aiuole curate vedo bambini giocare, residenti leggere, turisti curiosi: tutti protetti dall’ombra di questi giganti romani. Più in là, le case Liberty della Cooperativa Ferrovieri mi raccontano di un’altra epoca: inizio Novecento, operai e famiglie modeste sotto lo stesso cielo. Questo parco è un ponte tra pietra imperiale e sogni moderni, un sentiero dove respiro la continuità di Roma.

❹ All’angolo tra via Emanuele Filiberto e viale Manzoni, incastonata tra palazzi severi, spicca la facciata bianca di Santa Maria Immacolata all’Esquilino.

Due campanili gemelli svettano sul traffico, proteggendo un segreto: entro e mi trovo sotto volte blu cobalto, punteggiate di stelle dorate. Questa chiesa neogotica fu voluta dai Frati della Carità tra il 1896 e il 1914, su progetto di Antonio Curri. Ma a renderla unica sono due nomi: Gina Baldracchini e Clelia Argentati, pittrici coraggiose che all’inizio del Novecento dipinsero l’interno con colori vividi e santi dagli sguardi intensi. Un atto rivoluzionario per l’epoca. Ancora più toccante è la storia nascosta sotto il tetto: durante l’occupazione nazista, i frati salvarono ebrei e antifascisti offrendo rifugio tra travi polverose. Oggi una lapide ricorda quel coraggio silenzioso.

❺ Esco, osservo la Vergine sul mosaico sopra il portale e porto con me la sua benedizione lungo via Principe Eugenio. Il profumo di zabaione mi guida al civico 65 di via Principe Eugenio. Davanti a me il Palazzo del Freddo Fassi: dal 1880, regno indiscusso del gelato romano.

Giacomo Fassi, ghiacciaio piemontese, avviò la bottega; suo figlio Giovanni, il “gelatiere sovrano”, lasciò la corte di Vittorio Emanuele III per non rinunciare ai baffi e fondò nel 1928 questa fabbrica di gelato che resiste a guerre e mode. Mussolini, Hitler, ufficiali tedeschi, soldati americani: tutti hanno ceduto al richiamo delle coppette Fassi. Nel ‘44 la Croce Rossa americana requisì il palazzo per produrre gelato per le truppe. Rifiutò perfino di vendere la ricetta per far nascere l’Algida. Oggi, tra specchi liberty, marmi e saloni affollati, assaggio un Sanpietrino, semifreddo simbolo di Roma, o una Caterinetta, omaggio alle sartine torinesi. Fassi è storia viva, dolce come un cono al cioccolato.

Piazza Vittorio Emanuele II si spalanca davanti a me, crocevia di popoli e misteri. È un mondo intero incorniciato da portici eleganti, il salotto buono dell’Esquilino.

Nata nel 1880, unica piazza romana in stile piemontese, fu un sogno borghese e ora è un crogiolo multietnico. Qui si mescolano botteghe indiane, ristoranti cinesi, odore di spezie e lingue che rimbalzano tra archi e palme. Cammino nel giardino centrale e incontro rovine enigmatiche: i Trofei di Mario, un ninfeo di mattoni, e la famosa Porta Magica. La Porta Magica è l’unico frammento superstite della Villa Palombara, scolpito di simboli esoterici. Si dice che un alchimista qui scoprì l’oro filosofale e svanì lasciando formule scritte su un foglio. Il marchese, curioso, le fece scolpire su questa porta, sorvegliata dal dio egizio Bes. Oggi bambini giocano attorno, ignari di misteri antichi. Piazza Vittorio è Roma: un incanto di contrasti, magia e quotidianità, eternamente viva.

❼ Lascio Piazza Vittorio e mi tuffo nel sottosuolo di un palazzo moderno: il Museo Ninfeo sotto il Palazzo ENPAM mi riporta tra i fasti degli Horti Lamiani, i giardini imperiali dove Caligola passeggiava circondato da statue, marmi e fontane zampillanti.

Questo spazio ipogeo custodisce resti di mosaici, basolati, vasche di marmo e centinaia di reperti: dai gusci di ostriche agli artigli di leoni, corna di cervo e ossa di struzzo, prova che qui esisteva uno zoo privato tra esotismi e voliere. Passeggio su passerelle sospese, lambito da luci soffuse che ricostruiscono l’antico splendore. Pannelli multimediali proiettano cervi tra spezie rare, senatori in toga discorrono di politica accanto a fontane spumeggianti. Tutto attorno, pareti di laterizio raccontano banchetti fastosi e giochi d’acqua. Il museo, aperto solo nei weekend su prenotazione, svela quanto l’Esquilino conservi tesori incredibili proprio sotto i nostri piedi.

❽ La mia prossima meta è un mercato dove l’antico cede il passo al respiro del mondo. Appena oltre Piazza Vittorio, seguo le voci, i profumi e i colori del Nuovo Mercato Esquilino: un microcosmo di odori e lingue, ospitato nell’ex Caserma Sani dal 2001.

Questo mercato è il cuore pulsante del rione: tra i banchi vedo carciofi romaneschi accanto a mango esotici, riso Basmati vicino a mozzarella di bufala, pesce fresco e spezie da ogni continente. Qui la Roma popolare incontra le cucine del mondo: cuoche cinesi selezionano pesci vivi, famiglie indiane contrattano verdure, turisti fotografano radici sconosciute. Al calar del giorno, quando le saracinesche scendono, i volontari di Roma SalvaCibo – ReFoodgees raccolgono frutta invenduta e pane raffermo, trasformando gli sprechi in solidarietà. Cammino tra banchi colmi di colori, respiro una vitalità rumorosa, vivo un Esquilino dove la spesa diventa un viaggio interculturale.

❾ Il prossimo palcoscenico mi aspetta, un teatro Liberty che custodisce risate e memorie. A pochi passi dal mercato, su via Guglielmo Pepe, sorge la facciata Liberty del Teatro Ambra Jovinelli.

Inaugurato nel 1909 da Giuseppe Jovinelli, sognatore che voleva un varietà elegante per il popolo, è l’unico teatro romano in stile Liberty: fregi floreali, frontone curvo e vetrate lo rendono unico. Entro idealmente e sento risate di un secolo fa: qui Ettore Petrolini debuttò nel 1910, rompendo schemi con la sua ironia dissacrante. Nel tempo ospitò canzonettiste, ballerine, incontri di pugilato durante la Grande Guerra, e fu anche cinema d’avanspettacolo. Ma l’Ambra conobbe anche buio e fiamme: un incendio nel 1982 lo ridusse a un rudere annerito. Poi una rinascita: occupazione artistica, restauro e nuova vita. Oggi è polo di comicità romana: le poltrone rosse, i fregi restaurati, la platea ricolma di giovani e famiglie raccontano la tenacia di un quartiere che ama ridere.

❿ La prossima tappa è un acquario… senza pesci. Piazza Manfredo Fanti mi regala un giardinetto con un edificio elegante: l’Acquario Romano, costruito nel 1887 come acquario urbano e stabilimento di piscicoltura.

Il progetto visionario dell’ittiologo Garganico voleva qui un laghetto, ponticelli e vasche piene di meraviglie acquatiche. Ma le società fallirono presto: l’“acquario senza pesci” divenne presto una ironia tutta romana. Nei decenni fu sala per mostre, circo, cinematografo pionieristico, magazzino di scenografie. Nel 2002, venne restaurato e rinacque come Casa dell’Architettura, gestita dall’Ordine degli Architetti. Oggi entro e alzo lo sguardo verso la cupola di vetro: colonne, tritoni e decorazioni marine rievocano la fantasia originale. Tra le mura esterne spuntano resti di Mura Serviane, tracce repubblicane fuse a sogni Liberty. Mostre, convegni e persino sfilate di moda e il ballo delle debuttanti animano questa sala ellittica che unisce storia, creatività e rinascita.

⓫ Risalgo verso il culmine dell’Esquilino: Santa Maria Maggiore mi accoglie come una regina incoronata.

La sua facciata barocca nasconde un cuore paleocristiano: navata ampia, soffitto a cassettoni dorato con il primo oro giunto dalle Americhe, mosaici del V secolo che raccontano Antico Testamento e infanzia di Gesù come un fumetto sacro. È il più antico santuario mariano d’Occidente, nato dopo il Concilio di Efeso. Ma la leggenda più dolce è quella della neve: nella notte del 5 agosto del 358, la Madonna apparve in sogno a papa Liberio, indicandogli dove costruire la chiesa. La mattina dopo, una nevicata miracolosa imbiancò il colle in pieno agosto. Ancora oggi, ogni 5 agosto, una pioggia di petali bianchi rievoca quella magia. Tra colonne marmoree, reliquie preziose e la tomba di Gian Lorenzo Bernini, cammino immerso in secoli di fede, arte e sogni.

⓬ L’ultima tappa è il severo Palazzo Massimo alle Terme, un museo che nasconde tesori incalcolabili.

Ex collegio dei Gesuiti, oggi è una delle sedi più importanti del Museo Nazionale Romano. Cammino tra sale che custodiscono capolavori: statue greche come il Discobolo Lancellotti, il Pugile a riposo con le sue ferite di bronzo, ritratti delicati che fissano l’eternità. Ma sono gli affreschi del Giardino di Livia a rubarmi il fiato: pareti dipinte che ricreano un paradiso verde, uccelli tra alberi di melograno e rose che sfidano lo scorrere del tempo. Qui ogni corridoio è un dialogo tra Roma antica e archeologia moderna: marmi policromi, sarcofagi come quello di Portonaccio, monete d’oro, gioielli e frammenti di quotidianità imperiale. Mi fermo, assorbo secoli di arte, immagino imperatori, matrone, gladiatori. Palazzo Massimo è la degna conclusione di un viaggio attraverso l’Esquilino: una capsula del tempo dove storia e bellezza respirano ancora.

Il mio viaggio nell’Esquilino finisce qui, ma so che non smetterò mai di camminarci dentro. Ho attraversato porte imperiali, cupole spezzate, giardini segreti, mercati ruggenti di vita. Ho assaggiato gelato regale, decifrato enigmi scolpiti, ascoltato risate di platee Liberty e silenzi di basiliche millenarie. L’Esquilino è un quartiere di contrasti in equilibrio stabile: necropoli trasformate in giardini, rovine imperiali accanto a facciate ottocentesche, lingue di mezzo mondo mescolate a ricette romane. Ogni passo qui è una storia, ogni arco di acquedotto una promessa di acqua viva, ogni porta un simbolo di passaggio tra tempi diversi. Al tramonto, le luci dei tram, le insegne colorate dei negozi orientali, le ombre lunghe dei campanili raccontano che Roma è viva proprio perché continua a cambiare senza dimenticare.