Oggi esploro Campo Marzio, uno dei rioni più affascinanti di Roma, dove la storia convive con il presente in un equilibrio perfetto. Mi fanno da guida le storie della Strenna dei Romanisti.
❶ Con la Metro A arrivo a Stazione Flaminio. Appena in superficie la Porta del Popolo mi accoglie come un sipario barocco, che introduce lo spettacolo della prima piazza della città: piazza del Popolo. Subito a fianco della porta entro nella Basilica di Santa Maria del Popolo, costruita su un antico albero di noce maledetto, che la leggenda lega al fantasma di Nerone. Qui mi colpiscono i due capolavori di Caravaggio nella Cappella Cerasi: la “Crocifissione di San Pietro” e la “Conversione di San Paolo”, che sembrano quasi prendere vita. Poi mi incanto davanti alla cappella Chigi, progettata da Raffaello e completata da Bernini: un perfetto dialogo tra Rinascimento e Barocco.
Fuori, nella piazza, lancio un ampio sguardo alle trasformazioni volute da Giuseppe Valadier. Le racconta bene Elisa Debenedetti (2024): proprio grazie a piazza del Popolo Roma diventò modello per le altre capitali europee, da Napoli a San Pietroburgo, diffondendo un ideale di monumentalità urbana. L’autrice indaga il ruolo centrale della città di Roma, come matrice estetica e ideologica per le capitali europee tra il XVII e il XIX secolo, partendo dalla riflessione di Giulio Carlo Argan sull’arte come espressione urbana. È una storia che in realtà incomincia molto tempo prima: dall’evoluzione di Roma da città barocca sotto Sisto V, Bernini e Borromini, e che culmina con gli interventi di Giuseppe Valadier in piazza del Popolo, evidenziando come la capitale eserciti un’influenza duratura anche su città come Napoli, dove Domenico Fontana avvia una trasformazione urbana al servizio del viceré. Nei quartieri napoletani, da Capodimonte a Portici fino alla Reggia di Caserta, il paesaggio naturale sostituisce la monumentalità centralizzata, anticipando la visione scenografica di architetti come Vanvitelli. Evidenzia inoltre le connessioni internazionali della cultura artistica napoletana, che si estende a Milano (Piermarini), Madrid (Sabatini) e San Pietroburgo (Rinaldi e Rossi), delineando una rete europea ispirata all’ideale romano ma declinata in forme locali.

❷ Lascio Piazza del Popolo dal lato sud-est e percorro pochi passi su via del Babuino, poi svolto subito a sinistra in Via Margutta. Qui cambia il ritmo: muri ricoperti d’edera, gallerie d’arte, atelier. Respiro l’atmosfera bohémienne di un luogo caro agli artisti, dai pittori del Settecento a Fellini e Giulietta Masina, che abitavano qui, al civico 110.
Ma penso anche alla vivace colonia russa dell’Ottocento, descritta da Rita Giuliani (2024), con Fëdor Bruni che incantava i romani con le sue opere. Tra il 1839 e il 1843, Roma fu teatro di un fervente scambio culturale grazie alla vivace colonia russa di artisti, viaggiatori e intellettuali. I quartieri del centro storico, come Piazza di Spagna e Via Margutta, accolsero pittori come Fëdor Bruni, celebrato dalla stampa romana con titoli come “accademico di merito” dall’Accademia di San Luca. Le opere esposte al Tiberino e al Pincio, tra cui Il Serpente di bronzo, suscitarono grande attenzione, mentre la critica, come Filippo Gerardi e il letterato Stepan Ševyrëv, ne analizzava con entusiasmo i contenuti. Nel 1842 la granduchessa Marija Nikolaevna e il marito Massimiliano di Leuchtenberg promossero una mostra collettiva al Pincio che fotografò la vitalità degli artisti russi nella città eterna. L’autrice sottolinea come la stampa romana, concentrata sul mondo dell’arte, tralasciasse quasi del tutto gli aspetti sociali e politici, mostrando una conoscenza della Moscovia limitata a curiosità esotiche.

Proseguo dritto fino in fondo a via Margutta, e torno su via del Babuino all’altezza di via dei Greci. Giro subito a sinistra e in pochi passi arrivo davanti al Conservatorio di Santa Cecilia: mi immagino l’organo Walcker, inaugurato nel 1894, descritto da Andrea Panfili (2024) come testimone di concerti storici, da Mahler a Strauss. L’organo Walcker della sala accademica di via dei Greci rappresenta un tassello fondamentale per la storia musicale di Roma. Collocato nell’edificio dell’ex convento delle Orsoline, sede dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e del Liceo Musicale, lo strumento fu realizzato su progetto di Eberhard Friedrich Walcker di Ludwigsburg e costò 26.900 lire, con il sostegno del Ministero della Pubblica Istruzione e della regina Margherita. La sala, in stile neoclassico rinascimentale, fu inaugurata il 2 febbraio 1895 con un concerto del coro diretto da Raffaele Terziani e l’esecuzione di musiche di Palestrina e Frescobaldi. Tra i protagonisti dell’epoca si ricordano Remigio Renzi, Filippo Capocci e Marco Enrico Bossi. Lo stesso Panfili ripercorre le vicende di questo strumento, menzionando l’importanza dell’organo per i concerti sinfonici e cameristici romani, frequentati anche da Gustav Mahler e Richard Strauss. L’organo fu successivamente inglobato nell’impianto Tamburini del 1966, segnando la continuità di una tradizione musicale che attraversa decenni di storia romana.

Da via dei Greci svolto a sinistra, poi subito a destra in via dei Condotti: un tripudio di boutique. Mi fermo al Caffè Greco, ripensando alla storia narrata da Francesca Di Castro (2024): due secoli di artisti e intellettuali, da Thorvaldsen a Orson Welles, che qui hanno trovato ispirazione. La storia dell’Antico Caffè Greco si snoda attraverso oltre due secoli di vicende, a partire dalla metà del Settecento quando, in via Condotti, Nicola de la Maddalena – un caffettiere levantino – dà probabilmente il nome al locale. L’autrice ricostruisce, con rigore documentario, l’evoluzione del Caffè come centro cosmopolita frequentato da artisti, scrittori e intellettuali, in particolare nell’area del Tridente e nei pressi di piazza di Spagna. Si succedono figure emblematiche come Giuseppe Carnesecchi, già attivo nel 1797, Giovanni Salvioni, inventore del caffè in tazza piccola durante il Blocco napoleonico, e i fratelli Frezza, la cui gestione culmina in un fallimento nel 1874. Da lì emerge la famiglia Gubinelli, artefice della trasformazione del locale in museo vivente, con Giovanni prima e il figlio Federico poi, fino ad Antonietta Gubinelli Grimaldi. Il racconto si intreccia a personaggi come Thorvaldsen, Andersen e Orson Welles, luoghi come l’Esquilino, via Urbana e il Ghetto, e una cronologia che giunge fino alla controversa vicenda giudiziaria in corso.

Riparto lungo via Condotti, attraverso via del Corso e proseguo su via della Lupa. Dopo pochi metri arrivo su via dei Prefetti, dove affiora alla memoria la Sartoria Nataletti. Lì immagino Felice Ricci Nataletti, protagonista di una storia familiare raccontata da Elisabetta Mori (2024), tra gessetti e forbici che hanno attraversato due secoli di Roma. Nel cuore di Roma, tra via dei Prefetti e piazza della Torretta, la famiglia Nataletti affonda le radici di una storia che attraversa due secoli di trasformazioni sociali. A partire da Pietro Nataletti, sarto al servizio dell’esercito pontificio, il destino di questa famiglia si intreccia con le fortune della città: dal conferimento di onorificenze papali all’ascesa nell’alta borghesia grazie alle attività imprenditoriali di Felice Ricci Nataletti. Nell’Ottocento, la famiglia acquista una vigna presso Sant’Agnese fuori le mura, mentre il figlio Agostino si emancipa dalle attività sartoriali e diventa protagonista della Roma post-unitaria. Il percorso culmina con Giorgio Nataletti, etnomusicologo, che, con il suo registratore, raccoglie le voci dei mercati di Testaccio e Campo de’ Fiori, lasciando un patrimonio inestimabile conservato oggi all’EUR. L’autrice racconta questa vicenda di carte salvate dalla dispersione e restituisce dignità a una storia minore, ma profondamente romana.

Proseguo su via della Lupa e mi ritrovo davanti a Palazzo Borghese, nel cortile delle librerie antiquarie. Ricordo le sontuose stanze di Giacomo Borghese, con arazzi e porcellane, narrate da Maria Barbara Guerrieri Borsoi (2024): un piccolo mondo di lusso settecentesco nel cuore di Roma. Nell’appartamento al secondo piano di Palazzo Borghese, Giacomo Borghese (1698-1766) conduceva un’esistenza opulenta, immerso tra lussi e mode europee. L’autrice ci guida tra ambienti sfarzosi come la Galleria decorata con vedute di Joseph Vernet e marmi policromi, e stanze rivestite di arazzi di Bruxelles, con pavimenti di legni pregiati. Decoratori come Corrado Giaquinto e Filippo Sciugatrosci impreziosivano le volte con pitture e stucchi. Nei mezzanini si celavano spazi privati, mentre una stanza senza finestre segnava un confine verso Largo Fontanella Borghese. Le porcellane di Sassonia e i girandò testimoniavano la passione di Giacomo per la cultura francese, che si intrecciava con l’arte romana più aggiornata. L’appartamento, minuziosamente inventariato nel 1766, rappresentava un microcosmo di fasto e cosmopolitismo nel cuore di Roma settecentesca.

Da lì scendo la breve via di Borghese e svolto a destra su via di Ripetta. In duecento metri arrivo allo slargo del Porto di Ripetta, dove un tempo attraccavano le barche del Tevere: Valentina Nicolucci (2024) racconta come questo luogo fosse un crocevia di mercanti e dogane, immortalato dai pittori. Nelle vedute settecentesche e ottocentesche del Tevere, dipinte da artisti come Anesi e Locatelli, Roma si rivela nel suo intimo legame con il fiume, protagonista del paesaggio urbano. Da Ponte Cavour, dove Anesi immortala il porto di Ripetta con la Dogana demolita nel 1942 per la teca dell’Ara Pacis, fino a Castel Sant’Angelo, con i suoi mulini galleggianti e i ponti superstiti come il Ponte Rotto sullo sfondo dell’Aventino, i quartieri romani – Prati di Castello, Trastevere, Ripa Grande – emergono con forza. L’autrice ci guida in un viaggio tra architetture, usanze e trasformazioni urbane, dove si intrecciano memorie di personaggi come Donna Olimpia Pamphili e i papi Clemente XI e Innocenzo XII. Tra la Cloaca Massima, i molini Gianicolensi e i resti del Ponte Neroniano, la storia millenaria del Tevere ci accompagna come un testimone silenzioso delle continue metamorfosi di Roma, tra ponti distrutti, porti perduti e antiche vie oggi sommerse.

❸ Costeggio il Lungotevere fino a raggiungere la teca moderna dell’Ara Pacis: il vetro e l’acciaio di Richard Meier dialogano con i marmi augustei. I rilievi dell’altare raccontano la Roma imperiale, con la dea Tellus e le processioni solenni.
❹ Taglio la nuova piazza pedonale e arrivo davanti al Mausoleo di Augusto: un tamburo di mattoni, 87 metri di diametro, simbolo della grandezza dell’Impero. Immagino la rinascita di questo monumento grazie ai restauri in corso.
Esco sul lato sud-est, percorro via Tomacelli, poi via di Monte d’Oro, quindi via di Campo Marzio e infine via del Tritone. Raggiungo la Metro A, Stazione Barberini, felice di aver percorso duemila anni di storia in poche centinaia di metri. Roma è davvero una città stratificata, dove ogni pietra racchiude un mondo.
(articolo aggiornato il 8 Giugno 2025)