La vita è quello che accade mentre stai facendo altro”, cantava John Lennon in Double fantasy (1980). Allo stesso modo, il nostro racconto della Storia locale ha incrociato il tempo distopico della pandemia. È un tempo inedito, o forse è un déjà vu della peste romana del Seicento, sotto le nuove forme della malattia Covid-19, Coronavirus disease 2019. Il suo racconto ci chiede di aggiungere un capitolo imprevisto.

Tutto inizia nella seconda parte del 2019, nella remota provincia cinese di Wuhan, dove circola un virus sconosciuto, ad alta capacità di contagio: è un parente del comune raffreddore invernale, ma molto più cattivo e in grado di generare violente polmoniti.

Il 29 gennaio 2020 viene diagnosticato il primo caso italiano. Si tratta di una coppia di turisti cinesi in vacanza a Roma, subito ricoverati all’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani.

Proprio qui, al Laboratorio di virologia del nosocomio, il 2 febbraio viene isolato il virus, per la prima volta in Europa. Tutta Italia nelle ore successive parla della sensazionale scoperta, che consente di studiare, comprendere e – forse – contenere il Covid.

I riflettori si accendono sul laboratorio di virologia dello Spallanzani. Non è una struttura mastodontica: al contrario vi lavorano soltanto quattro ricercatrici, che operano in costante carenza di fondi. Una di loro, Francesca Colavita, è anche precaria: vincitrice di concorso, attende da anni lo scorrimento di una graduatoria. La ricercatrice vive al Trullo, dove tutti la conoscono ma in pochi sanno del suo lavoro. Se ne parlasse, faticherebbe a spiegare perché in Italia ci sono strutture pubbliche che indagano malattie lontane, il cui arrivo in Italia è altamente improbabile. Improbabile, ma non impossibile. La storia di Francesca ha un lieto fine: arriva l’assunzione, “per la lodevole attività professionale durante l’emergenza sanitaria”.

Dal 21 febbraio si registrano nuovi casi, tra Lombardia e Veneto. Seguono misure di isolamento severissime, per circoscrivere i focolai d’infezione. E lo Spallanzani, che ha 257 posti letto, si prepara ad affrontare il peggio, allestendo nel piazzale esterno un’isola di pre-triage, una tensostruttura in grado di gestire afflussi di massa.

Due giorni dopo, 23 febbraio, la signora Stefania, commessa in un market di casalinghi alla Magliana, si sente male. “Ho un raffreddore, niente di più”, racconterà al Messaggero. Stefania avrà il triste primato di essere la prima positiva al Covid nella Capitale. A distanza di una settimana i sintomi sono ancora lievi: tosse sporadica e qualche lineetta di febbre, che “va e viene”. Il medico di famiglia la tranquillizza: “Ma dai, Stefà, ti pare che ce l’hai tu il Coronavirus!”. La febbre però ritorna. È il 4 marzo, è il giorno in cui in tutta Italia per precauzione si chiudono le scuole.

Il 7 marzo la situazione della donna precipita. “La mattina mi sento benissimo, faccio un sacco di cose”. Poi nel pomeriggio subentra la crisi respiratoria. Stefania entra nella tensostruttura dello Spallanzani. Un man in white bardato di tutto punto dispone il ricovero immediato. Le viene fatto il tampone e arriva il responso: Stefania è positiva.

Stefania compie un gesto di grande responsabilità, avvisando tutti. Per primo il datore di lavoro, che chiude il centro vendita. Poi mette in guardia tutti quelli che sono entrati in contatto con lei, attraverso i social. “Penso a tutte le vecchiette che la mattina vengono in cassa a portarmi un caffè e mi danno il bacino”. Stefania è orgogliosa della reazione del quartiere. “Alla Magliana, devo dire, hanno reagito bene. Mi sono arrivati tanti attestati di solidarietà”. Però sui social si aggirano anche gli imbecilli: “Non è mancato chi mi ha attaccato e insultato”.

Dal 10 marzo le misure di contenimento adottate per Lombardia e Veneto si estendono a tutta l’Italia. La vita degli italiani, da questo momento, cambia. Ora devono fare i conti con un’inedita forma di “confinamento domiciliare”, il lockdown. Si può uscire solo per andare al lavoro, per fare la spesa o per altre ragioni di salute o di estrema necessità. Le mascherine diventano un oggetto di uso quotidiano; i ragazzi studiano sul computer con la dad, la didattica a distanza; i genitori attendono dall’Inps cassa integrazione e reddito d’emergenza.

Si registrano i primi fenomeni irrazionali, come file ai supermercati per accaparrarsi carta igienica e lievito-madre; ci sono anche alcuni casi di abbandono di animali di affezione. Il pomeriggio alle ore 18 in punto ci si affaccia al balcone, cantando e sbattendo le pentole, per il flashmob antivirale.

La signora Stefania intanto allo Spallanzani viene curata energicamente. E lentamente migliora. Finché arriva il via libera per tornare a casa. Al rientro però avviene l’immancabile fattaccio, riportato da RomaToday. Suo figlio va regolarmente a trovarla, per portarle la spesa a casa. Un residente lo affronta, vomitandogli addosso insulti irripetibili. Secondo il racconto del giovane, l’uomo gli dice che sua madre è un’untrice e ha contagiato tutti; per questo le staccherà la testa. L’uomo è come impazzito: sale in auto e comincia a speronare la vettura del ragazzo, poi estrae il crick dal portabagagli e lo insegue a piedi.

Alla Magliana si registrano anche altri casi, più o meno noti. C’è commozione per l’impiegata municipale risultata positiva: la sede di Villa Bonelli viene isolata. Anche un vigile urbano è colpito. Ci sono forti polemiche, perché a quanto pare i colleghi non sarebbero stati avvertiti per tempo. Anche il 95enne ingegner Rebecchini muore per il Coronavirus.

Arriva maggio 2020. Le cose sembrano lentamente migliorare.


(articolo aggiornato il 14 Dicembre 2023)