Tra i palazzi-alveare della Magliana succede anche dell’altro.

Dall’estate 1978 è entrata in vigore una nuova legge, la Legge n. 392 sull’Equo canone. È una legge avanzata, che finalmente sembra fissare un punto di equilibrio tra le istanze di inquilini e padroni di casa. Questa legge spariglia le carte nel mondo degli autoriduttori: perché un conto è combattere le distorsioni del libero mercato, un altro è prendersi la casa gratis.

Per la prima volta, tra la rappresentanza di quartiere e la sua base, si registrano frizioni. C’è chi propone di uscire dall’illegalità, traghettando le occupazioni verso un regime di equo canone.

Ma c’è dell’altro che stride. Il processo ai costruttori sta andando male. Abili avvocati difensori hanno smontato le accuse, una per una. Dei 132 indagati iniziali, solo quindici sono stati rinviati a giudizio. E il Comune di Roma, all’epoca guidato dalle giunte rosse di Giulio Carlo Argan, volta le spalle al comitato di quartiere rinunciando a costituirsi parte civile.

La sentenza per il “Sacco della Magliana” arriva nell’aprile 1979.

È uno shock. Il fatto non sussiste: sono tutti assolti, con formula piena.

Tutti adesso puntano il dito contro la Magliana: gli autoriduttori sono tacciati di essere dei calunniatori, che hanno montato un finto scandalo per impossessarsi delle case. Stampa e tv accorrono. Il comitato di quartiere, a favore di media e sociologi, allestisce uno spettacolo teatrale, intitolato Controprocesso ai costruttori. Il clima è incandescente: è ancora fresca la memoria del processo popolare ad Aldo Moro e il suo tragico epilogo. Ma il finale invece spiazza tutti. Costruttori e politici sono condannati a una pena simbolica: abitare a vita alla Magliana.

Nel giugno 1979 c’è spazio per un colpo di coda. Il comitato di quartiere acquista un’azione del capitale delle Condotte e l’intero quartiere si presenta all’assemblea degli azionisti. Renato Palazzo pronuncia un discorso infuocato, con cui accusa la società costruttrice di aver devastato la Magliana. Adesso il quartiere è seduto lì davanti agli azionisti, e chiede loro di rimettere le cose a posto. L’incaricato della società replica gelido: lo spazio per la trattativa è esaurito.

Eppure, proprio in quel giorno, la trattativa incomincia per davvero. Con esiti inattesi, al di là di ogni più rosea aspettativa.

Alla fine dell’anno circola già una bozza di accordo. Vengono condonati otto anni di fitti arretrati; e per il futuro si pagherà un “equo canone di quartiere”, di appena 530 lire per metro quadro, corrispondenti a 1,60 euro di oggi. Una casa di 50 metri quadri costerebbe dunque appena 80 euro al mese, molto al di sotto dell’equo canone e di qualsiasi altro canone di mercato. E per chi vuole sono confermate le offerte di vendita delle case, a prezzi di favore.

Sembra fatta. Poi arriva lo smacco. L’accordo è sottoposto al voto, scala per scala: gli autoriduttori dicono no.

Ai primi degli Anni Ottanta, alla Magliana nuova, gli animi tornano a scaldarsi. Il comitato di quartiere preme per accordarsi con le immobiliari per la vendita delle case, a prezzi finalmente accessibili; gli autoriduttori invece vorrebbero proseguire a oltranza l’autogestione di quartiere. Una concitata assemblea sancisce la frattura: i proletari della Magliana non vogliono trasformarsi in piccoli borghesi, padroni delle case in cui vivono.

Qualcosa in quegli anni migliora nei servizi pubblici. Dal febbraio 1980 l’Atac crea nuovi bus periferici: il 718 e 719 sul quadrante del Trullo e a Magliana il 780, che unisce le vecchie linee 96 e 97.

Mentre alcune cose migliorano, altre invece toccano il fondo. La banda, che controlla il business della droga, ha inondato la città con un fiume di eroina e cocaina. La Magliana non ne è affatto immune. Anzi, una generazione intera di ragazzini e giovani adulti ne è travolta. È impossibile restarne fuori: la “roba” è ovunque, persino nelle scuole. Ogni famiglia o comitiva di amici può oggi ricordare i nomi di giovani vite mancanti all’appello.

Lo scrittore Giovanni Bianconi, in Ragazzi di malavita, ha raccontato la geografia del narcotraffico romano. La città è suddivisa in zone, ognuna con i suoi referenti chiamati “cavalli”. Le zone più grandi si suddividono in piazze, mentre lo spaccio minuto, strada per strada, è affidato alle “formiche”. Il boss Giuseppucci controlla la zona di Testaccio e viale Marconi, che condivide con Danilo Abbruciati. I testaccini di De Pedis controllano la zona di Trastevere e, più lontano, Centocelle e Torpignattara. La Magliana fa capo ad Abbatino e i suoi: la piazza del Trullo è di Danesi, il Portuense di Castelletti. Il litorale è in mano agli uomini di Selis: Paolo Frau detto Paoletto tiene la piazza di Ostia, mentre Toscano e altri quella di Acilia. Altre zone di spaccio rilevanti sono Garbatella, Tormarancia, Prenestino, Tufello e Alberone.

Mediatori tenaci intanto continuano a lavorare. Già dal novembre 1980 prende forma una seconda bozza, a prezzi ancora ribassati. Sottoposto alle assemblee di scala, l’accordo viene bocciato di nuovo: ormai la rottura tra comitato di quartiere e frange radicali di autoriduttori pare insanabile.

A quel punto, i costruttori forzano la mano: se ne andranno comunque da quella tana di vipere, con o senza l’accordo degli inquilini. E iniziano a tappezzare il quartiere di cartelli “Vendesi”. È un nuovo shock: le case adesso sono in vendita al libero mercato, “con l’inquilino dentro”. I nuovi acquirenti privati, come prevedibile, pretendono dagli inquilini un canone di mercato e richiedono gli sfratti, esattamente come le grandi società.

La trattativa con le immobiliari per le case alla Magliana va in porto nell’estate 1983.

Il prezzo finale è fissato a 300.000 lire al metro quadro. È convenientissimo. Un appartamento di 50 mq costa appena 23 mila euro di oggi. In più, sono condonati dodici anni di fitti arretrati e gli acquirenti accedono al Fondo sociale CER, che rende la rata di mutuo più bassa di un affitto.

Al voto scala per scala, questa volta, gli autoriduttori dicono .

Finisce un’epoca: gli autoriduttori comprano le case in cui vivono; termina l’autogestione di quartiere e la Magliana torna ad essere – o forse diventa, per la prima volta – un “quartiere normale”.

Intanto alla Magliana viene realizzata una grande infrastruttura, il viadotto della Magliana (ponte dello Sheraton): 1,7 chilometri di sopraelevata tra ponte della Magliana e via Cristoforo Colombo.

Il 12 settembre 1984, sul viadotto, avviene una tragedia: il bus 293 casca di Muoiono sul colpo l’autista e quattro passeggeri. La Repubblica raccoglie le prime informazioni. L’autista Luciano di Pietro è un 36enne esperto e guida un Inbus 210 nuovo. “Niente brusche scosse, nessuna frenata premonitrice. Il 293 scivola lentamente a destra”. Poi alle 16:24 lo sfondamento del guardrail e il salto nel vuoto. Lo schianto avviene dieci metri più in basso, sulla golena del Tevere, con a bordo 38 passeggeri. Un ortolano è tra i primi soccorritori: “Ho sentito un grande tonfo. Poi le urla. Li ho portati fuori in condizioni inimmagi nabili”. Vengono identificati i corpi di due pensionati ma tra le vittime ci sono anche due giovanissimi, senza documenti.

Alla Magliana lo strazio è corale. Nelle famiglie si conta chi non è rincasato, in un disperato contrappello. Le madri si incamminano a piedi e riconoscono i due 14enni di viale Vicopisano. Andrea e Domenico, amici per la pelle, non saranno mai dimenticati.


(articolo aggiornato il 24 Luglio 2022)