Sul finire del 1968 nell’ex tenuta Pian Due Torri si aprono i cantieri edilizi.

Un bus temporaneo, il 97 crociato, porta gli operai da Stazione Trastevere a via dell’Impruneta. Poco dopo si aggiungerà un bus di linea, il 293 (oggi 764), dal tracciato inedito e spericolato: da via dell’Impruneta attraversa i canneti, supera ponte della Magliana e raggiunge la Linea B della metropolitana, stazione Eur-Magliana.

Alla Magliana gli operai trovano ad attenderli un giovane sacerdote. È Don Pietro Cecchelani (1935-2020), cui il Vicariato ha affidato la nuova parrocchia istituita nell’ex tenuta agricola di Bonelli, con il titolo di San Gregorio Magno. Don Pietro li benedice e augura loro un buon lavoro. Il giovane prete sarà capace di entrare nel cuore del nuovo quartiere, che non esiste ancora. Ne sarà il parroco per trent’anni, fino al 1998.

Nel primo edificio completato, su via Pescaglia, Don Pietro ottiene un garage al civico 11, che adibisce a chiesa provvisoria.

Secondo le previsioni del piano regolatore, la chiesa provvisoria, così come tutti gli altri garages e scantinati, devono essere reinterrati, cioè ricoperti con uno strato di terra e calcinacci spesso sette metri, fino a rialzare il nuovo abitato fino alla quota dell’argine e metterlo così in piena sicurezza idraulica.

Della previsione di reinterro, tuttavia, non se ne farà mai nulla.

I costruttori riescono ad aggirarla firmando col Comune un “atto d’obbligo”, cioè un impegno morale a farlo – prima o poi –, in un tempo futuro che non arriverà mai. In questo modo i costruttori realizzano due piani in più; e a volte anche tre, perché sul tetto i lavatoi condominiali si trasformano in attici mansardati.

Costruttori furbetti e il Comune che non vigila: Alfonso Testa, giornalista di Paese Sera, adombra il sospetto che si siano accordati. Il cronista conduce inchieste coraggiose: cerca di capire a chi appartengano le 21 società costruttrici della Magliana. Sono tutte società a responsabilità limitata, neo-costituite e con statuti a fotocopia, con struttura a scatola cinese e capitale sociale irrisorio. Eppure hanno ricevuto dalle banche mutui estesi anche mille volte il loro patrimonio. I nomi delle società coincidono sbrigativamente con le vie del quartiere: Pian Due Torri, Pescaglia, Impruneta, Prato, Lari ecc. Altre hanno nomi più fantasiosi: Gregorio Magno, Malta, Lisbona, Porta Medaglia. Il giornalista individua nelle compagini societarie il nome ricorrente del finanziere Aladino Minciaroni e partecipazioni dalla Società italiana per Condotte d’acqua. Sono loro, secondo Testa, i registi dell’operazione immobiliare alla Magliana.

Iniziano le vendite, anche senza anticipo e con dilazioni lunghissime. Nelle proposte pubblicitarie tuttavia il nome Magliana compare di rado, rimpiazzato da un più seducente “Appartamenti all’Eur”. Realtà e fantasia corrono su binari paralleli.

Tra i primi acquirenti c’è l’Inpdai – l’Istituto di previdenza dei dirigenti industriali –, che compra una lunga “stecca” di palazzi, per affittarli e metterli a reddito.

L’invenduto invece viene dato in affitto dagli stessi costruttori: non è richiesta cauzione e il primo mese è gratis. Si affitta anche a stanze singole, in “coabitazione promiscua”: cioè una stanza per famiglia, con cucina e bagno in comune.

Il quartiere si popola in un attimo, soprattutto giovani coppie con neonati al seguito: sono gli anni chiassosi del baby boom.

Passato l’entusiasmo dei primi giorni, però, la cruda realtà si palesa.

Nel reticolo ortogonale di casermoni mancano gli ascensori. Ai piani alti non arriva l’acqua e ai piani bassi invece non batte il sole. Con i primi caldi l’aria manca ovunque. Nessuno si è preso la briga di asfaltare le strade e di realizzare i servizi. Il nuovo quartiere si presenta desolatamente privo di tutto: è una sonora fregatura.

Alcuni residenti formano un gruppo folk – il Canzoniere di Magliana – e raccontano spaesamento e rabbia impotente: “Strade con buche, non ci hanno messo nemmeno la luce. E alla sera chi vuole girar, la candela si deve portar”. Questi versi sono tratti dalla canzone Magliana rossa, che diventerà l’inno del quartiere.

Una dopo l’altra si palesano anche altre insidie, nascoste ma raccapriccianti.

Mancano le fogne: i palazzi riversano i liquami in una marana dal fetore insopportabile, che scarica direttamente nel Tevere. A volte però succede l’inverso – è il Tevere che entra nel quartiere –, e la Magliana cambia aspetto e colore: il suolo trasuda, la nebbiolina avvolge i palazzi in pieno giorno, i ratti sciamano in fuga. Dalle condutture dell’acqua potabile esce una poltiglia marrone.

Qualcuno quell’intruglio se lo beve e finisce in ospedale. I sanitari dello Spallanzani diagnosticano i primi casi di epatite virale di tipo B, quello più cattivo.

È a quel punto che il pretore dell’epoca, Gabriele Cerminara, riceve le prime segnalazioni e interviene, ipotizzando i reati di epidemia colposa e violazione di norme urbanistiche. Nomina dei periti per accertarli. Ne nascerà un processo, lunghissimo e controverso.

Nel quartiere-trappola, a cavallo tra 1970 e 1971, si incomincia a protestare. Il Sunìa, Sindacato unitario inquilini, invia all’Inpdai dettagliati elenchi di manchevolezze.

Poco dopo, gli inquilini Inpdai danno vita a una singolare forma di protesta organizzata: l’autoriduzione dei fitti. Cominciano a pagare il canone di locazione all’ente proprietario con dei vaglia postali di importo decurtato del 30%.

È una prima scintilla. La rivolta urbana è dietro l’angolo.


(articolo aggiornato il 14 Febbraio 2023)