Il conclave del 1623 incorona il toscano Maffeo Barberini (1568-1644), con il nome di Papa Urbano VIII.

Il suo programma politico è di una semplicità disarmante: disinteressarsi delle questioni spirituali, praticare il nepotismo più sfrenato verso familiari e amici, e godere in maniera altrettanto sfrenata dei benefici terreni che offre il papato, come quotidiani banchetti, spettacoli teatrali e tripudio delle arti. Come ai tempi andati di Papa Leone Medici.

Papa Urbano però non è un Medici, ma un Barberini. È un nuovo-ricco ammantato di un umanesimo soltanto di facciata, come le statue dell’arte barocca: dorate fuori, di stucco dentro.

E quando Papa urbano incomincerà ad abbellire Roma con monumenti nuovi, a corto di idee e di finanze lo farà spogliando scientificamente marmi e metalli da quelli vecchi. Pasquino, la statua parlante di Roma, dirà: “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”. Laddove i barbari hanno fallito, i Barberini sono pienamenti riusciti.

Le feste mondane di Papa Urbano sono animate da una donna dall’aspetto procace e la parlantina vorticosa: la trentenne Donna Olimpia Maidalchini (1591-1657).

La storia che ha portato Donna Olimpia, popolana e provinciale di origine, alla corte di un papa, merita di essere raccontata.

Rinchiusa fin da piccola in un convento con la prospettiva forzata di diventare una monaca, Olimpia sfugge a un destino già scritto, imparando a rischiare il tutto per tutto fin da bambina: si inventa l’accusa di seduzione contro il suo direttore spirituale e lo mette nei guai. Per riparare a un torto non commesso, il pover’uomo organizza in fretta e furia un matrimonio riparatore, tra Olimpia e un ricco possidente, anziano e malaticcio, di nome Paolo Nini. Olimpia è finalmente libera dal convento e in breve si ritrova anche felicemente vedova e con in mano una piccola fortuna.

Ma questo non è che l’inizio. Olimpia ha scommesso una volta e ha vinto; ora vuole giocare ancora con il fuoco, sfidando il destino una partita dopo l’altra in una serie ben congegnata di scommesse al raddoppio, di quelle in cui o perdi tutto oppure vinci il doppio, secondo una progressione matematica: 2, 4, 8, 16, 32…

La scommessa successiva è pagarsi da sola la dote, per sposare in seconde nozze un altro buon partito, ma ancora più ricco e più malconcio: il nobile Panfilio Pamphili, di 27 anni più grande di lei. Panfilio, dal carattere docile, la accoglie al Palazzo Pamphili di piazza Navona e la introduce nella buona società romana. Asseconda ogni sua richiesta finanziaria e chiude persino un occhio sui tradimenti della sposina.

Quando Olimpia conosce Papa Urbano, quest’ultimo è ammirato dal sfacciata libertà d’azione della giovane donna, spregiudicata come un uomo: la vuole al suo fianco in ogni occasione. 

Il 23 ottobre 1630 intanto Panfilio regala a Donna Olimpia una casa in campagna: il fortilizio medievale Casale di Giovio, con intorno l’intera tenuta di Vigna Corsini a Monteverde. Questo edificio esiste ancora oggi: si chiama Villa vecchia di Villa Pamhili.

Donna Olimpia frequenta spesso anche in un altro palazzo di proprietà dei Pamphili, quello su via del Corso, dove alloggia il cognato Giovan Battista, fratello minore di Panfilio, di professione avvocato. Olimpia, con la complicità di Papa Urbano, lo sostiene e ne facilita l’ascesa sociale, procurandogli incarichi sempre più prestigiosi: ambasciatore, vescovo e infine cardinale. Pasquino, insospettito da tanta magnanimità, non esita ad elencare Giovan Battista nella schiera degli amanti di Donna Olimpia.

Eppure Pasquino stavolta si sbaglia. Quello che lega Donna Olimpia al cognato non è la lussuria, ma una nuova scommessa: Olimpia ha puntato tutto su di lui, perché è attraverso di lui che Olimpia si prenderà Roma. Giovan Battista sarà il prossimo papa, e Donna Olimpia siederà al suo fianco, sarà la papessa!

Occorre soltanto attendere la dipartita di Papa Urbano.

Un’occasione propizia si presenta già nell’estate 1641, con la ribellione dei Farnese, famiglia nobile romana, che sfidano in armi Papa Urbano. Ma Papa Urbano, per nulla intimorito, si mette di persona alla testa di un esercito e va a stanarli nella loro roccaforte, il Ducato di Castro. Papa Urbano è perfettamente a suo agio, tra campi di battaglia, sangue e teste mozzate. E in un attimo la guerra volge a suo favore: i Farnese sono sconfitti e Papa Urbano ritorna a Roma, senza aver subito neppure un graffio.

Donna Olimpia è delusa – il conclave per il momento non si farà! –, ma si consola imbastendo un gigantesco affare. Le basta far notare al papa che i Farnese potrebbero tornare alla carica, e le vecchie e cadenti Mura Aureliane, nel tratto che precede il Vaticano, difficilmente resisterebbero a un attacco. In breve, si instilla nel pontefice il demone della paura: immagina già i Farnese entrare armati nei sacri alloggi.

Donna Olimpia ha già la soluzione in tasca: gli presenta il suo architetto di fiducia, Marcantonio De Rossi, e in quattro e quattr’otto Papa Urbano gli affida un’opera faraonica, la demolizione di quel tratto di Mura Aureliane e la costruzione, al loro posto, di una nuova cinta fortificata: le Mura Gianicolensi.

Per le nuove mura De Rossi disegna un tracciato caotico, irrazionale, che sembra fatto apposta per far lievitare i costi dell’appalto: Porta Aurelia e Porta Portuensis devono essere tirate giù e ricostruite da capo. Al loro posto sorgeranno le nuove Porta San Pancrazio e Porta Portese. Altre due porte – la Porta Settimiana e Porta Santo Spirito – e anche il robusto Bastione del Sangallo sono esclusi dal tracciato e vengono abbandonati, perché le nuove mura sono spostate in avanti. Papa Urbano chede a Olimpia se il progetto le piace. Olimpia dice di sì: il progetto è approvato.

I lavori iniziano alla fine del 1642. E nel corso del 1643 il grosso delle opere è ormai realizzato.

Porta Portese viene edificata appena 453 metri più avanti, rispetto alla demolita Porta Portuensis. È completata ai primi del 1644. Manca solo di issarvi sopra lo stemma di Papa Urbano.

L’avanzamento delle mura permette di includere dentro la cinta anche il porto fluviale di Ripa Grande.

Papa Urbano, tuttavia, non vedrà mai le opere completate: muore improvvisamente, nel luglio 1644.

L’occasione tanto attesa da Donna Olimpia dunque è finalmente giunta: si apre il conclave.

Donna Olimpia ha scommesso forte: dovrà tacitare i pretendenti, scongiurare le ingerenze francesi e pagare uno a uno i porporati, affinché scelgano il suo candidato. Per vincere insomma Donna Olimpia dovrà far saltare il banco. La posta è altissima: la conquista di Roma la attende.


(articolo aggiornato il 5 Luglio 2023)