Dall’estate 1943, intanto, la situazione si complica ancora. Gli Americani sono sbarcati in Sicilia, il 19 luglio Roma è bombardata e il 25 luglio Mussolini è sfiduciato dal Gran consiglio del Fascismo e tratto in arresto. La situazione si fa incandescente.

Giuliano Vassalli decide che quello è il momento giusto per passare all’azione: in agosto ricostituisce in clandestinità il Partito socialista. Racconta Marcella Monaco: “Insieme, abbiamo fatto scelte gravi, che capivamo essere pericolose ma imprescindibili. Non potevamo sopportare la soppressione della libertà fatta dal fascismo. Potevamo forse dare un contributo al ripristinarsi della democrazia”.

Il gruppo dei quattro (Vassalli, Fioretti e Marcella e Alfred Monaco) intanto si allarga: vi entrano a far parte anche Pietro Nenni, segretario del partito, e Sandro Pertini, vicepresidente.

È più o meno in quei giorni d’estate 1943 che sulle alture sabbiose intorno Ponte Galeria, nel giro di una manciata di giorni, viene costruito un intero caposaldo difensivo, per prevenire uno sbarco alleato sul litorale romano.

Il caposaldo si sviluppa su tre sezioni: il bancone di Colle Lanzo a presidio della ferrovia per Fiumicino e via della Muratella; i due banconi a est e a ovest della stazione ferroviaria per presidiare l’incrocio di via della Magliana con la Portuense; e infine, in pianura, l’argine destro del Collettore delle Acque alte sul Rio Galeria (oggi via Vescovali) per presidiare gli affacci sul Tevere.

La struttura si compone in tutto di 14 bunker. I bunker sono del tipo italiano pcm, “postazione circolare monoarma”. Hanno un diametro di circa 5 metri e murature antibomba in calcestruzzo spesse anche 120 cm.

A differenza dei bunker tedeschi però, i bunker italiani sono del tutto privi di armature in ferro, e sono realizzati con la colatura del calcestruzzo in casseforme di legno. Il calcestruzzo inoltre è ampiamente diluito con sabbia di mare. Un’altra differenza con i bunker tedeschi è che i bunker italiani non hanno significativi acquartieramenti ipogei e anzi mancano persino delle fondamenta: sono soltanto appoggiati su delle platee in gettata di calcestruzzo e accuratamente posizionate sulla skyline, per dare all’invasore l’impressione di trovarsi di fronte a una fortificazione ipogea, che in realtà non esiste.

I bunker presentano una doppia apertura per il tiro con armi da fuoco. Dall’esame delle riservette l’appassionato di storia militare Andrea Grazzini ha ricostruito i probabili armamenti dei bunker: l’ipotesi è che vi siano state mitragliatrici e cannoni di calibro non superiore a 47/32 armati con proiettili da 30-40 cm.

A complemento della struttura vi sono tre postazioni anticarro, costituite da piazzole in barbetta (anch’esse del diametro di 5 metri e realizzate su platee). Alcune piazzole presentano un’abile mimetizzazione.

Nel caposaldo è stata individuata un’opera rettangolare, la cui funzione non è chiara: potrebbe trattarsi di una postazione per arma automatica o un osservatorio con periscopio. Vi sono infine altri manufatti di servizio. Bunker, postazioni anticarro e manufatti sono collegati da camminamenti: alcuni sono scoperti, altri in trincea, e altri ancora in galleria.

Nel 2010 è stato individuato un quindicesimo bunker, molto distanziato dai restanti 14, all’incrocio con via della Pisana. Il ritrovamento è avvenuto durante lo scavo archeologico di un tratto dell’Acquedotto Portuense.

Il caposaldo operava secondo le direttive del Cam, il “Corpo d’Armata Motorizzato”, sotto la responsabilità del 1° Reggimento Granatieri di Sardegna (comandante Mario Di Pierro). Non si conosce il nome del comandante di caposaldo. La struttura non ha mai il battesimo del fuoco.

Arriviamo a fine agosto 1943. A Roma la situazione militare precipita. Ci si prepara allo scontro armato. In città il numero dei militari cresce di giorno in giorno. L’imminenza del disastro è palpabile. A presidiare la Magliana vengono inviati due battaglioni del Primo reggimento della XXI divisione Granatieri di Sardegna.

Il primo battaglione è dislocato tra la stazione ferroviaria e il Genio militare, al chilometro 7 di via della Magliana. Allestiscono un caposaldo difensivo, preceduto da un posto di blocco stradale fortificato. Nel gergo dei militari la posizione è chiamata Caposaldo numero 4.

L’altro battaglione allestisce il Caposaldo numero 5, a presidio del ponte della Magliana. I granatieri alloggiano in un campo mobile, allestito nei prati a pascolo della Borgata Petrelli. Di fronte, sul lato opposto del Tevere, all’innesto tra il ponte della Magliana e la via Ostiense, viene allestito un posto di blocco stradale, protetto da un reparto di artiglieria schierato sulla collina della Chiesa dell’Esposizione (oggi chiesa dei Santi Pietro e Paolo).

Poco distanti, sulla sponda opposta del fiume, si trovano altri due battaglioni di supporto: il battaglione “Riservisti”, con 800 unità dentro forte Ostiense, e il più piccolo battaglione “Mortaisti”, nella cittadella dell’E42.

Arriva intanto una data fatidica della Storia: è l’8 settembre 1943. Alle ore 19:45 parla alla radio il nuovo capo del Governo, generale Pietro Badoglio (1871-1956): “Riconosciuta l’impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria…”, l’Italia ha chiesto l’armistizio agli Eserciti Alleati. “La richiesta è stata accolta”. Poi però Badoglio, con parole sibilline, lascia intendere che c’è stato anche il cambio di fronte, che siamo passati con Inglesi e Americani. Le forze italiane, conclude Badoglio, reagiranno ad attacchi “da qualsiasi altra provenienza”.

Gli “altri” sono le truppe germaniche. All’istante dodicimila soldati tedeschi di stanza all’aeroporto di Pratica di mare si mettono in movimento verso Roma. La guerra entra ora nella sua fase più drammatica.


(articolo aggiornato il 3 Novembre 2022)