Nuvole basse e nere si addensano adesso sull’orizzonte. Il tempo a disposizione di Caio Giulio e Cleopatra sta per finire.

Nel giro di due anni Caio Giulio ha fatto incetta di onori e poteri: console a vita, pater patriæ, capo delle finanze, capo degli eserciti, pontefice massimo. Gli manca solo un ultimo titolo, quello di rex, ma dal 14 febbraio ne possiede uno molto simile: quello di dictator perpetuus, dittatore a vita. Nei fatti, la Res publica è già finita. Cicerone, portavoce della tradizione senatoria, non approva.

E i chiacchiericci proseguono. Antonio, Bruto e Ottavio, che visitano con regolarità gli Horti, riportano ogni volta storie nuove, esotiche e incredibili. Raccontano di incontri lussioriosi tra Cleopatra e decine di convitati. Riferiscono che anche Caio Giulio vi prende parte, intrattenendosi “con tutte e con tutti”. Cicerone conia al riguardo una frase famosa, per descrivere gli appetiti a tutto campo di Caio Giulio: “marito di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti”.

Eppure in città non tutti puntano il dito contro Cleopatra. La regina in fondo è l’interprete di un’istanza di liberazione dei costumi in larga parte già condivisa dalla società romana. Cleopatra, criticata in pubblico, gode in privato di ammirazione e consensi. Per molte matrone è un modello di emancipazione.

E non mancano le lettere anonime. Di volta in volta le missive accusano Cleopatra di essere una spietata assassina o un’avvelenatrice, una strega che pratica sortilegi o un’intrigante cortigiana disposta a tutto. Il suo amante, ovviamente, non dà a queste voci il minimo peso.

Mentre tutti parlano della coppia, Caio Giulio è impegnato in una delle sue riforme più felici, il Calendario giuliano, basato sul ciclo delle stagioni ed elaborato dall’astronomo egiziano Sosigene di Alessandria. Il quinto mese, quintilis, viene ribattezzato iulius, luglio, in onore della Gens Iulia.

Ma tutto sta inevitabilmente per finire. E, nella primavera del 44 a.C, Caio Giulio è il solo a non accorgersi dei segnali premonitori di una imminente catastrofe. Di questi segnali ha scritto Cicerone. Uno di essi avviene proprio nel territorio portuense: i cavalli della mandria sacra, uno a uno, cominciano a lasciarsi morire.

Molte cose sono successe, da quando, appena cinque anni prima, Cesare ha gettato il dado della sorte varcando coi suoi cavalli il fiume Rubicone. E da allora la mandria dei cavalli sacri ha stazionato lì, agli Horti, in attesa di essere richiamata in servizio. Cicerone dice che dai primi giorni di marzo del 44 a.C. i cavalli sacri cominciano a rifiutare acqua e cibo, abbandonandosi a un pianto ininterrotto e struggente, fino a lasciarsi morire di stenti. Essi conoscono il tragico destino che di lì a breve attende il loro condottiere e hanno deciso di accompagnarlo, così come hanno fatto quando hanno varcato il Rubicone, anche quando Caio Giulio farà l’ultimo attraversamento di un fiume: l’Acheronte infernale.

Ma Caio Giulio nel marzo 44 non può certo sentire i lamenti delle bestie sacre, né preoccuparsi delle lamentele di Cleopatra, che a causa del pianto dei cavalli non riesce a più dormire. Vicende politiche complesse lo trattengono alla Reggia palatina. Gli storici si sono variamente interrogati sulle sue ambizioni in quei giorni. Progetta forse il colpo di Stato tanto a lungo pianificato per arrivare a proclamarsi re?

Difficile a dirsi. Fatto sta che un gruppo di patrizi di fieri orientamenti repubblicani, capeggiato dal prætor urbanus Marco Giunio Bruto e dal prætor peregrinus Caio Cassio Longino, ne è convinto, e ritiene la salute pubblica in pericolo.

I patrizi ordiscono la congiura, per assassinare il tiranno. I congiurati intendono restituire nelle mani del Senato tutti quei poteri di cui Caio Giulio ha spogliato la Res publica. La congiura patrizia è, in buona sostanza, una controrivoluzione.

Cicerone, da sempre avversario di ogni congiura, ma che di certo non approva l’operato di Caio Giulio, probabilmente è informato dei preparativi, ma decide di non prendervi parte né di avvertire il console del pericolo che corre.

Alla fine però qualcuno parla, e fa a Cesare il nome del cospiratore Bruto. E Cesare risponde seccato: “Bruto saprà attendere la fine naturale di questo corpo malaticcio”.

Un’aria grave adesso opprime Roma. Si verificano altri presagi, di cui prende nota il puntuale Cicerone. Sul Campidoglio piove di tutto: acqua, pietre e persino meteoriti, che Cicerone chiama “bolidi di fuoco”. Arriva a Roma la notizia che sulle Alpi c’è stato un terremoto e che altrove i fiumi si fermano e cominciano a scorrere al contrario. Da alcuni pozzi al posto dell’acqua esce sangue.

Gravi lutti sono in arrivo. E non solo i cavalli portuensi si mettono a piangere. Pare anche che varie bestie del Campidoglio, di fronte alla sordità di Cesare, abbiano cominciato a parlare, pur di metterlo in campana. Cesare la prende con fatalismo, e decide di mettere in licenza la Guardia Iberica, il suo fidato corpo di guardia personale. Cesare pronuncia parole famose: “Ho vissuto abbastanza, sia in anni che in gloria”.

Il mimo Publilio Siro gli rivolge parole celebri: “Fortuna vitrea est. Tum, cum splendet, frangitur”. La fortuna è come il vetro, più risplende e più è fragile. Un altro personaggio dell’epoca, l’aruspice Spurinna, gli consegna un monito quanto mai preciso: gli dice di non uscire di casa alle idi di marzo, cioè il 15 del mese.

Il giorno che precede, il 14, Caio Giulio lo passa nella Reggia palatina, dormendo la notte con Calpurnia. All’alba Calpurnia racconta al marito di aver avuto un sogno luttuoso. Cesare le risponde con parole passate alla storia: “Non dobbiamo aver paura che della paura. Gli uomini coraggiosi muoiono una volta sola”.

Arriva la mattina fatidica delle idi di marzo. Caio Giulio si reca al Senato, che all’epoca ha una sede provvisoria al Campo Marzio, perché il Palazzo senatorio è da poco andato a fuoco. Lungo la via incontra di nuovo Spurinna. Caio Giulio lo prende in giro: “Profeta di sventure! Eccomi ancora qui, nonostante le idi siano arrivate”. L’indovino gli risponde severo: “Sì, sono arrivate. E non sono ancora finite”.

Al Campo Marzio, ad attenderlo sotto la statua di Pompeo, Caio Giulio trova 60 cospiratori, 23 pugnalate e il tragico appuntamento col destino.


(articolo aggiornato il 19 Novembre 2022)