Ai due gruppi iniziali – Trullo-Magliana di Abbatino e Testaccio di De Pedis, con il trasteverino Giuseppucci a fare da cerniera – si aggiunge un terzo gruppo: quello di Ostia e Acilia di Nicolino Selis detto il Sardo.

Selis, 25 anni, recluso a Regina Cœli, ha già alle spalle una discreta carriera criminale come capobatteria a Ostia. In carcere Selis è entrato nelle simpatie di Raffaele Cutolo, fondatore a Napoli della Nuova camorra organizzata, e ha stretto amicizia col detenuto Antonio Mancini, romano di San Basilio, soprannominato Accattone per la somiglianza con l’attore Franco Citti, protagonista del film d’esordio di Pasolini (1961).

Il Sardo e Accattone maturano il progetto di fare a Roma quello che Cutolo sta già facendo a Napoli: aggregare le batterie di quartiere in una sola banda cittadina, che si allea con chi è disposto a farlo ed elimina armi in pugno chi si oppone. Sardo e Accattone prendono contatti con Giuseppucci, che ci sta: l’intesa è naturale, facilissima da raggiungere.

La banda è appena nata e già ha radici in otto quartieri.

La nuova organizzazione mette la sua “capitale” alla Magliana. Per ragioni pratiche, perché la Magliana è nel centro geografico tra le aree di influenza dei tre gruppi. Ma soprattutto perché nel quartiere, da quando sono cominciate le lotte urbane, le guardie si vedono sempre meno. La polizia non c’è, e da zona franca a “capitale del crimine” è un attimo: per il quartiere scrollarsi di dosso questa nomea sarà difficilissimo, anche quando il baricentro del malaffare romano si sposterà altrove.

Nella banda, Selis il Sardo porta un manipolo di sodali espertissimi: come Fulvio Lucioli er Sorcio, specializzato in assalti agli uffici postali; Antonio Leccese che controlla la piazza dello spaccio di Casalbruciato; Giovanni Girlando er Roscio e Libero Mancone, dalle piazze di Ostia e Acilia; i fratelli Vittorio er Coniglio e Giuseppe Carnovale er Tronco, attivi tra Tufello e a Val Melaina.

Nel novembre 1975 Edoardo Toscano, appena evaso da Regina Cœli, si unisce alla banda. Si presenta al boss Giuseppucci insieme a Selis il Sardo, che ha liberato durante l’evasione. Toscano è uno che parla poco e quando occorre c’è sempre. La sua caratteristica di freddo esecutore gli vale il soprannome di Operaietto.

La Magliana attira però anche altri generi di frequentazioni. Dal giugno 1977 può capitare di incontrare in autobus l’impiegata Anna Laura Braghetti: 24 anni, camicia multicolor, borsa di Tolfa e basco in testa. Ha appena comprato un appartamento con garage al pianterreno di via Montalcini, 8. Il suo fidanzato, il 25enne ingegner Altobelli, la aiuta nella ristrutturazione. I due sono circospetti, enigmatici. I vicini li notano subito, ma non possono immaginare la realtà: sono componenti della colonna romana delle Brigate rosse. L’ingegner Altobelli – il cui vero nome è Germano Maccari –, riducendo il salone con un tramezzo, ha costruito una stanza segreta, un’angusta prigione.

Lo studioso Stefano Grassi, in un saggio del 2008 (Il caso Moro), ha rilevato alcune coincidenze: Mancini l’Accattone abita lì accanto, su via Fuggetta; il faccendiere Ernesto Diotallevi, intimo di De Pedis, abita su via di Vigna Due Torri; la stessa Villa Bonelli, in via Montalcini 1, è dirimpettaia al covo brigatista ed è finita nella disponibilità di Danilo Sbarra, costruttore dalle frequentazioni discutibili. Impossibile che la banda non ne sappia nulla: abitano tutti lì, a cento passi dal covo.

In quel periodo si avvicina alla banda anche un cane sciolto: Danilo Abbruciati er Camaleonte. Neanche a dirlo, abita anche lui su via Fuggetta. Er Camaleonte però ha una storia personale diversissima da quella degli altri giovani della banda. Abbruciati è ormai giunto alla fine della sua parabola criminale: da capobatteria della Roma bene con solidi agganci nella mala che conta, è stato più volte arrestato ed è caduto in disgrazia. Entrare nella banda è la sua ultima occasione. Il suo ingresso tuttavia deve attendere: viene arrestato di nuovo.

Poco dopo anche De Pedis finisce in carcere, per uscirne tre anni dopo.

A metà del 1977, dunque, i ranghi della banda non sono ancora al completo, ma le prime azioni – soprattutto rapine – vengono comunque messe a segno.

Il primo colpo in grande stile avviene la sera del 7 novembre 1977: la banda rapisce il duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere. Lo prelevano a forza dalla sua tenuta di Settebagni. La richiesta di riscatto è di dieci miliardi di lire, pari a 38 milioni di euro di oggi.

La trattativa procede maldestra, a colpi di inserzioni sul quotidiano Il Tempo. “Ristorante Gambero rosso specialità marinare prezzo fisso lire 1500” è il segnale del raggiunto accordo: il riscatto è sceso a un miliardo e mezzo di lire. La somma viene consegnata. Nonostante ciò, l’aristocratico sarà ucciso e non farà mai ritorno a casa.

Al netto delle spese e della “stecca para” – il dividendo corrisposto ai partecipanti, sempre in parti uguali – la banda si ritrova in cassa un gruzzolo considerevole, con cui pianifica nuove azioni delittuose.

In mezzo però c’è una data fatidica: 16 marzo 1978. Quella mattina il Parlamento italiano si prepara a votare la fiducia al quarto governo dell’onorevole Giulio Andreotti. Il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro ha a lungo preparato questo momento: la Dc e il Partito comunista di Enrico Berlinguer sosterranno insieme il “compromesso storico” tra i due partiti per sostenere il nuovo esecutivo.

Aldo Moro, che abita in via del Forte Trionfale, nel nord della città, esce di casa in auto alle 9 del mattino, scortato da un’Alfetta. Il piccolo convoglio transita su via Mario Fani. Alle 9,15 va in scena l’agguato, pianificato con ferocia. I cinque uomini della scorta muoiono sul colpo.

Da qui in poi la vicenda esce dall’ambito delle certezze ed entra nella “verità processuale”, una ricostruzione operata dai magistrati attraverso sei processi. Moro viene prelevato e condotto nel garage del grande magazzino Standa ai Colli Portuensi e di qui arriva a via Montalcini, dove trascorre la prima notte di prigionia.

Nella stanza accanto, con la Braghetti e Maccari, ci sono altri due carcerieri: Prospero Gallinari e il capo delle Br Mario Moretti. Iniziano i 55 giorni più lunghi d’Italia.


(articolo aggiornato il 12 Giugno 2022)