Spostiamoci ora in un altro quadrante della città. Siamo ai Prati di Castello – oggi semplicemente Prati –, per assistere a un evento di grande importanza: si inaugura il nuovo Ponte Cavour. L’anno è il 1901.

L’apertura al traffico carrabile del nuovo ponte coincide con lo smontaggio della vicina Passerella di Ripetta, un ponte di ferro costituito da una travata unica prefabbricata. La passerella è considerata già allora una vecchia ferraglia, buona solo per la fonderia.

Eppure, si decide di darle una seconda vita, rimontandola alla Magliana, per farne un attraversamento sul Tevere. Nel rimontaggio gli ingeneri comunali devono superare non pochi problemi: il fiume in quel tratto è largo 130 metri (la passerella appena cento) e ha correnti impetuose. Alle estremità vengono approntate delle “prolunghe”, mentre la passerella è tagliata in due e al centro è posizionato un levatoio, una sezione apribile per permettere il transito dei vaporetti, diretti al nuovo Porto fluviale Ostiense.

La memoria popolare descrive la passerella come un accrocco straordinariamente traballante: chi lo attraversa si fa il segno della croce.

I primi a beneficiare del nuovo attraversamento sul Tevere sono i pastori in transumanza dall’Abruzzo, diretti alle coste laziali, ai quali nuove norme sanitarie vietano ora di attraversare i ponti urbani di Roma con le greggi al seguito. La passerella diventa così il check-point delle pecore: non esistono infatti altri ponti sul Tevere, fra la città e il mare.

In breve, la Magliana diventa il crocevia di tutte le rotte migratorie.

Appena superata la passerella di ferro, nei pressi dell’imbocco al Tevere del fosso di Papa Leone, nasce una sosta di transumanza.

Gli abitanti del piccolo villaggio di capanne provengono in gran parte dallo stesso borgo montano, Rendinara (L’Aquila) e di cognome fanno quasi tutti Petrelli.

In una capanna è presente una scuola; un’altra è adibita a posto di distribuzione del chinino, per la profilassi anti-malarica. Nelle altre capanne, impiegate come dormitori, si conduce una vita ancestrale, con a terra le “rapazzole”, letti di paglia disposti a raggiera. Vi è un’unica cucina collettiva all’aperto e si banchetta intorno al focolare, seduti sul fianco e mangiando per terra.

Il piatto di tutti i giorni è il pancotto, cioè pane secco bollito con olio e sale, oppure la paniccia, che è una sua variante col siero di latte. Per companatico cipolle e cicoria. Nei giorni di festa capita di mangiare la pezzata, carne di pecora alla brace ripassata in padella, o le fagliatelle, le interiora dell’abbacchio.

La vita quotidiana si divide tra due attività: il vergaro che porta le pecore al pascolo e il caciaro che munge e fa i formaggi, come la ricotta fresca o il pecorino stagionato.

La sosta della Magliana si popola, e si svuota, seguendo cicli stagionali. La partenza per i monti è tra aprile e giugno, attraverso le consolari Appia e Casilina e tratturi montani; il ritorno è in autunno. “Settembre, andiamo. È tempo di migrare”, ricorda il poeta Gabriele d’Annunzio (I Pastori, Alcyone). “Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare”.


(articolo aggiornato il 14 Ottobre 2022)