Arriva adesso il tempo di Adriano (117-138), l’epoca della massima felicità dell’Impero.

Adriano prosegue il rinnovamento dell’Urbe, e le attenzioni si allargano anche al circondario, con ville suburbane sontuose, come la Villa Adriana di Tivoli. Le élite patrizie si sfidano in una competizione del lusso sfrenato, a suon di statue, marmi e mosaici.

Una di queste dimore da favola viene casualmente alla luce nel 1976, in località Infernaccio, durante lavori agricoli al Casale Tocchella, via della Magliana 854. Emergono le stanze del dominus e le grandi colonne di un peristilio. La villa ha anche delle terme private alimentate da una sorgente idrotermale. Gli ambienti sono in marmo di Carrara, cipollino e grigio-venato; altre stanze hanno mosaici in bianco e nero o policromi. Venti locali sfarzosissimi in tutto, l’uno pacchianamente diverso dall’altro. Il fortunato dominus della Magliana manca forse di stile ma è di sicuro ricchissimo. Il suo nome ci è sconosciuto.

Ci spostiamo ora nel quartiere Marconi, per conoscere altre terme, sulla riva del Tevere di fronte alla Basilica di San Paolo. Le strutture murarie risalgono agli ultimi anni della Res Publica, ma è al tempo di Adriano (123 d.C.) che le terme vengono restaurate e conoscono una seconda vita.

Il loro ritrovamento risale al 1915, quando una piena del Tevere dilava via il terreno e, senza nemmeno bisogno di aprire uno scavo archeologico, riporta in luce tre sale termali in opus reticolatum (A, B e C), con pavimenti in mosaico a tessere bianche e nere con scene di palestra. Accanto, emergono altri ambienti minori: il forno, la cisterna, la latrina e una probabile piscina natatoria, affacciata direttamente sulle acque del Tevere.

Una successiva campagna di scavi del 1939, diretta dall’allora sovrintendente Giulio Jacopi, porta alla luce i due ambienti più spettacolari: le due sale sotterranee di un ninfeo (D ed E), da cui provengono affreschi superbi con scene marine, oggi al Museo Nazionale Romano.

Queste ultime due sale richiedono un racconto approfondito. Un ninfeo è un luogo consacrato alle ninfe, divinità delle acque, con fontane e basse piscine. Vi si accede da una scala nell’ambiente C. Sulla parete d’ingresso accoglie i visitatori l’affresco di una Νηρείς (nereide), che cavalca un serpente marino. Dalla Teogonia di Esiodo sappiamo che le nereidi sono 51 e sono fanciulle immortali, bellissime e benevole verso i naviganti, dai lunghi capelli ornati di perle.

La prima sala (E) misura 4,40 m × 3, con volta a crociera e le quattro pareti interamente dipinte con un fondale a fresco di colore blu di lapislazzuli, a rappresentare le acque del Tevere. I numerosi soggetti figurativi sono invece sono dipinti a tempera.

Sulla parete est sono raffigurate due lintres, speciali barchette per le feste fluviali del 24 giugno in onore della dea Fortuna. Hanno la prora ricurva e colori sgargianti; sono prive di albero maestro e vele e sono condotte a remi.

Tra le due navicelle è dipinto il dio Portunus, un ragazzo imberbe dall’ispida capigliatura cerulea, a cavallo di un delfino. Portuno è una divinità indigena – precedente cioè la formazione del pantheon classico –, invocata durante l’attraversamento delle rive del Tevere. Al dio delle sponde sono affidati la piccola navigazione rivierasca, i commerci per via d’acqua, gli imbarchi e gli approdi. Secondo Marco Terenzio Varrone Portunus è “deus portuum portarumque” – dio dei porti e delle porte – e secondo Georges Dumézil il suo nome contiene la radice indoeuropea “protu”, che significa guado fluviale.

Portunus è dunque il nume del passaggio, ma insieme dell’incontro e dello scambio, funzionale ad una comunità che vive del fiume e intercetta l’umanità in transito lungo le sue rive. La sua festa annuale, i Portunalia, si celebra il 17 agosto, con un rito che prevede la purificazione delle chiavi nel fuoco.

La parete ovest contiene altre due bachette lusorie; in mezzo vi è la raffigurazione di un delfino e poco distante vi è una scena con tre pesci.

Nelle due pareti corte sono rappresentate una nave di alto mare con rostro e occhio e un’altra navicella fluviale.

Della sala E va anche ricordato il pavimento della piscina, in mosaico policromo con un grande esagono centrale e figure geometriche, fiori, tralci e vasi. Il mosaico risale al IV secolo.

Questa sala E, attraverso una porticina, immette alla sala D, anch’essa di piccole dimensioni (metri 4,20 × 2,50) e con volta a botte.

L’ambiente ha lo stesso tipo di decorazione a fresco e tempera dell’ambiente precedente, con scenette di navigazione fluviale, su fondale blu ceruleo popolato di fauna marina. Anche queste pitture sono state distaccate e si trovano oggi al Museo Nazionale Romano.

Come l’ambiente E, anche la sala D ha un pavimento di epoca successiva (IV secolo): è in mosaico bianco e nero, a tema geometrico.

Le scene di fauna ittica hanno suscitato l’interesse dello studioso G. Bini. Si tratta di pesci, ma anche cefalopodi e molluschi. Sono raffigurati in natura morta oppure in “scene di vivaio”, a volte in lotta tra di loro, come nel frammento di un combattimento tra una piovra, una aragosta e una murena. Bini ha riconosciuto ed elencato le varie specie ittiche, 23 specie diverse in tutto, tutte del Mediterraneo, per lo più di specie della costa sabbiosa e con carni commestibili e pregiate. Le specie ricorrenti sono il delfino, il sarago fasciato e lo scorfano rosso. Un’ultima caratteristica comune è che si tratta di specie che è possibile allevare in vivaio, come ci tramanda Columella nel De re rustica. Questo ha fatto ipotizzare che la piscina natatoria U presente davanti alle terme potesse essere proprio un vivaio di acqua dolce, in cui le specie di acqua marina, catturate vive, vengono conservate per un breve periodo per essere vendute come fresche.

Passiamo quindi alle ipotesi sulla funzione dei due locali.

Una prima ipotesi, abbastanza intuitiva che ci viene dal soggetto delle pitture, è che le due sale D ed E siano una continuazione del sovrastante stabilimento termale, realizzata nelle sostruzioni dei sovrastanti ambienti termali A, B e C, fossero collegati all’impianto termale e abbiano avuto anch’essi una destinazione idraulica. I due ambienti D ed E sono rivestiti, fino all’altezza di 45 cm dal suolo, da un fascione di marmo. Questo lascia supporre che fino a quell’altezza i due ambienti fossero riempiti di acqua. In pratica si tratterebbe di due piscine sotterranee comunicanti, parti di un unico ninfeo sotterraneo.

Un rilievo che è stato fatto è che, se i singoli soggetti sono dipinti con una certa abilità tecnica e padronanza dei repertori, la serie di affreschi accosta insieme, con una certa disorganicità, barchette fluviali, quindi di acqua dolce, con fauna marina, di acqua salata, che quindi nella realtà non potrebbero convivere. Un altro rilievo è che non vi è proporzione, sia fra barchette e animali marini, sia tra gli stessi animali. Il tutto compare insomma come scientificamente disorganico.

A questo rilievo risponde lo stesso sovrintendente Jacopi, che inquadra queste pitture nel modello delle scene nautico-fluviali nilotiche, di ambiente egiziano. Alla foce del fiume Nilo, caratterizzato da un ampio delta con acque salmastre, soggetti fluviali e marini convivevano. Gli esecutori degli affreschi potrebbero essere probabilmente artisti greci di Alessandria d’Egitto, o loro imitatori locali che si ispirano alla tradizione ellenistica, sebbene la moda dell’egittomania sia un retaggio del secolo precedente, e ormai demodé.

Un’altra possibile ipotesi è che il committente sia proprio di provenienza greco-egiziana. Forse si tratta di un commerciante del vicino Emporium di Testaccio, le cui tasche sono state rese floride proprio dai commerci tra le due sponde del Mediterraneo.

Il committente potrebbe far parte proprio di una corporazione mercantile, i “Mercatores”, trafficanti del mare. Forse si tratta di un importatore ittico, che rileva la proprietà delle terme e le trasforma in prospero centro per lo smercio del pesce, come un moderno centro commerciale. E forse gli affreschi murari potrebbero avere dunque avuto una funzione molto più prosaica: potrebbe trattarsi di una sorta di listino murario dei prodotti in vendita.

Un’ultima ipotesi è che non si tratti neppure di terme, ma che il nostro mercator abbia comprato l’impianto termale ormai caduto in disuso, facendone la sua villa privata.

Un’altra struttura (U) è stata interpretata come un vivaio per pesci.

L’area ha restituito infine un ambito cimiteriale (R): un basamento rettangolare intorno al quale sono state rinvenute sepolture in anfore e alla cappuccina: e due ambienti in reticolato con ammorsature di tufelli (Y e Y’), interpretati come colombari.

Tra gli ambienti termali e il fiume è emerso anche un lungo tratto di arginatura sul Tevere, parte della stessa infrastruttura pubblica realizzata nel 134 d.C. Parti della stessa infrastruttura sono emerse anche sulla sponda opposta, poco più avanti all’altezza di via Marmorata.

Questo argine si innesta sui precedenti interventi di delimitazione del fiume realizzati al tempo di Augusto nel 7 a.C. È stato rinvenuto infatti un cippo di delimitazione che riporta la stessa data.

Un altro cippo di delimitazione delle sponde è stato recuperato nel 1947. Questo cippo fa riferimento ai consoli Marzio Censorino e Asinio Gallo.

Il grande archeologo subacqueo Claudio Mocchegiani-Carpano ha indagato negli Anni Settanta il tratto di fiume di fronte alle terme. Sommerse tra le due sponde del fiume vi sono resti di banchine in conglomerato cementizio e altre strutture in opera a sacco al centro dell’alveo. L’area insomma era in antico un porto fluviale.


(articolo aggiornato il 6 Ottobre 2022)