Un’altra storia ci porta ancora a parlare del treno. Nel 1856, mentre è in corso la costruzione della strada ferrata, l’ingegnere francese Alphonse Oudry visita il castello della Magliana. Si raccoglie in preghiera nella cappellina del Battista, sotto lo sguardo severo e allo stesso tempo bonario dell’Eterno Padre dell’abside.

Ne è incantato: lo scambio di sguardi tra l’ingegnere e la raffigurazione pittorica raggiunge il sublime. Gli gira la testa, ha le vertigini, il cuore batte veloce. Esce dalla cappellina pervaso da pensieri celesti, trema come una foglia: deve appoggiarsi per non cadere.

Da quel momento la vita di Oudry non è più la stessa: possedere quell’opera e trasportarla in Francia diventa la sua ossessione.

L’ingegnere va a Trastevere, fa la sua proposta d’acquisto alle monache di Santa Cecilia. Pagherà loro qualsiasi somma esse chiedano. Le monache non lo prendono affatto per matto; anzi, gli fanno il prezzo: 5000 franchi, non uno di meno.

La somma è esorbitante – è un Raffaello! – e l’affare salta. L’ingegnere torna in Francia, inaridito e umiliato.

Dal giorno dopo però le monache realizzano di essere sedute sull’oro. Nel 1858 fanno staccare gli affreschi della cappellina e corrono a impegnarli al Monte di pietà. Impegnarli al Monte è una mossa abilissima: adesso tutta Europa sa che c’è un Raffaello sul mercato. Tempo dopo, anche i dieci quadranti di Apollo e le nove Muse saranno distaccati.

Al Monte di pietà arriva trafelato un insolito visitatore, che chiede di visionare l’Eterno Padre. È un critico d’arte di nome François Gruyer, informatore segreto dello Stato francese. Gruyer avverte il suo governo che l’opera è genuina, “interamente condotta dal genio potente di Raffaello”, ideale per il Musée du Louvre. Così certifica: “Nella Cappella del Battista Raffaello ha lasciato i tipi di perfezione che appartengono a lui e solo a lui”. Lo scoglio è che le monache non fanno sconti a nessuno. Lo Stato francese rinuncia.

Passa un decennio (1869) e il compratore finalmente si trova.

È l’anziano Oudry, che ha messo insieme i risparmi di una vita e si presenta a Trastevere con una valigia con dentro 5000 franchi. Quel dipinto sarà suo, fosse anche l’ultima cosa che fa. Fa appena in tempo a concludere la compravendita, che comincia di nuovo a tremare, come molti anni prima. Sopraffatto dalla gioia, morirà poco dopo.

Lo Stato francese a quel punto torna a farsi avanti e propone agli eredi di Oudry di ricomprare il dipinto. Gli eredi sono tipi tosti: ci vogliono quattro anni per chiudere la trattativa. E nel 1873 spuntano un prezzo da capogiro: ben 207.500 franchi. Grande sponsor dell’iniziativa è il presidente francese dell’epoca, Adolphe Thiers.

L’Eterno Padre arriva al Musée du Louvre. Sui giornali non si parla d’altro. Al dipinto è riservata una posizione prestigiosa, all’ingresso della grande Sala della Gioconda, nel cui portale absidato viene collocato l’affresco, ribattezzato Fresque de la Magliana.

Ma sin da subito c’è qualcosa che non torna. Ci sono immediate polemiche in merito alla genuinità dell’opera. È già allora diffusa una sensibilità artistica assai moderna, che porta a distinguere fra opere interamente condotte dal Maestro e “opere di scuola”, nelle quali il Maestro è l’ideatore del disegno ma la conduzione è affidata ad allievi.

Intanto arrivano altre expertise. Quella dell’italiano Gnoli è impietosa e definisce il dipinto “una povera cosa, difettosa nel disegno, con scorci falsi, tinte tenui e diluite”. Gnoli forse esagera – il tocco di Raffaello c’è, e si vede – ma l’opera, concludono altri critici, non vale comunque più di un quarto di quello che è stata pagata. Il presidente francese è accusato di sperpero di denaro pubblico. È costretto a dimettersi.

Per quella somma astronomica, comunque, lo Stato francese ha acquistato anche i frammenti del Martirio di Santa Cecilia, l’opera devastata dal fattore Vitelli. Lo Stato francese li affida a un onesto restauratore, che rimette insieme i pezzi e reintegra le parti mancanti. Oggi l’opera si trova al Musée des Beaux arts di Narbonne, nel sud francese.

Le due lunette di Annunciazione e Visitazione scompaiono invece dalla Magliana in circostanze misteriose. Ricompaiono nel 1947 nella cittadina lombarda di Lora (Como), nella Cappella Grassi dell’Opera Don Guanella. Si deve alla studiosa Fausta Gualdi-Sabatini, nel 1983, di averle riconosciute.

I dieci quadranti di Apollo e le Muse, venduti nel 1875 al Comune di Roma, vengono collocati nel 1952 nel nuovo Museo di Roma a Palazzo Braschi, in una sala delle stesse misure del Salone delle Muse. Negli anni a seguire, purtroppo, si deciderà di smantellare questo ingombrante allestimento. Le opere oggi giacciono in magazzino.

Alla Magliana dunque oggi non resta più nulla di quelle nobili pitture. In anni recenti la sensibilità del cappellano Don Gabriele Fedriga, con il sostegno della fondazione Manzetti, ha portato a ricollocare nel castello della Magliana delle copie fotografiche delle opere disperse. Nel 2016 il pittore Stefano Lucà ha realizzato a fresco, nell’abside della cappellina del Battista, una copia fedele dell’Eterno Padre. L’Eterno Padre è tornato ora a guardare con occhi benevoli la sua Magliana.


(articolo aggiornato il 13 Ottobre 2022)